I dodici mesi che sfasciarono il Partito Democratico

I dodici mesi che sfasciarono il Partito Democratico
L'ex segretario del Pd, Matteo Renzi
31 dicembre 2017

Sugli scaffali del Nazareno verrà archiviato come “annus horribilis”. Per il Partito Democratico, il 2017, è iniziato male e finito peggio. Matteo Renzi comincia l’anno con ancora le ferite vive per la sonora sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Ma non ha il tempo di riprendersi, perché a metà febbraio dovrà incassare un altro duro colpo: dimissioni da premier e anche da segretario del Pd. In due mesi, dalle stelle alle stalle. E’ la politica. Ma da buon democristiano, l’ex premier riprende il cammino. Primo obiettivo, le primarie per tornare alla guida del partito. Ma anche a fine aprile arriva un altro boccone amaro. Sì, dai gazebo esce vittorioso, ma con una percentuale di consensi (69,2%) più o meno come quella del 2013 (67,8%). E, con l’aggravante, di aver fatto rimanere a casa circa 1,2 milioni di elettori. Infatti, il popolo del centrosinistra è passato dai circa tre milioni del 2013 a circa 1,84 milioni del 2017. Come dire, un partito sempre più distante dal suo segretario che, nonostante ciò, tira dritto in solitaria. In ogni caso, è di nuovo segretario. Ora ha l’occasione per rifarsi con le amministrative di giugno. Ma per Renzi è pronta un’altra batosta. Infatti, dalle urne dei Comuni al voto l’unica forza uscita fuori con un bilancio negativo è stato proprio il centrosinistra, dato il successo del centrodestra e la non perdita del M5s. E così, le coalizioni a trazione renziana, esprimono il sindaco in 34 città mentre nel 2012 ne avevano conquistate 64. Se si considerano solo i Comuni capoluogo, la sconfitta del centrosinistra è schiacciante: 16 sindaci (+10 rispetto al 2012) per il centrodestra, solo 6 (-9 rispetto al 2012) per il centrosinistra.

Tra le cosiddette roccaforti rosse, i dem perdono Genova, La Spezia, L’Aquila e la storica Sesto San Giovanni (l’ex ‘Stalingrado d’Italia’). Altro saldo negativo, il centrosinistra, lo colleziona con la perdita di 193mila voti in tutta la tornata elettorale. Il primo semestre già segna un bilancio pesante, per Renzi. Incassa un colpo dietro l’altro. Ma anche per l’altra metà anno, per l’ex premier, la musica è sempre stonata: più solo e con un partito sempre più isolato dalla coalizione. Il colpo letale lo danno Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza, mettendo su Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista. Una scissione che ha generato al Pd un’emorragia di 22 parlamentari. Poi, altra sconfitta a novembre. I siciliani dopo cinque anni di governo Pd con Crocetta hanno punito il partito di Renzi, portando alla guida della Regione Siciliana l’esponente di centrodestra, Nello Musumeci. Una botta aggravata da Pietro Grasso, che un bel dì sbatte la porta in faccia a Renzi, dando vita a ‘Liberi e Uguali’ e strizzando l’occhio a Bersani & C. Una nuova forza, quella del presidente del Senato, che secondo i recenti principali sondaggi, danno al 6 per cento circa. Di crollo del Pd, invece, parla un sondaggio Ipsos di tre settimane fa: sedici punti in meno rispetto alle Europee di tre anni fa, il 6 per cento lasciato per strada dalle ultime amministrative, ovvero un partito al minimo storico nell’era renziana. Rilevazioni, fra l’altro, che non tengono conto del forfait di Giuliano Pisapia e Angelino Alfano. Uno scenario che, nonostante la sicurezza ostentata dallo stesso Renzi, potrebbe portare alle Politiche il partito con meno voti della famosa ‘soglia Bersani’ delle ultime elezioni, il 25,4 per cento. Ben lontano dal tanto sperato 40 per cento dell’ex premier.

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