Afghanistan, come operano i medici militari italiani in prima linea

3 aprile 2017

Lo utilizzavano già le legioni romane. Oggi il laccio emostatico è diventato un accessorio indispensabile delle truppe impegnate in Iraq e Afghanistan. Perché è in grado di limitare gli effetti potenzialmente disastrosi di una grave ferita sul campo di battaglia. In Afghanistan gli eserciti occidentali, in sintonia con la controparte afgana, hanno notevolmente migliorato i protocolli di emergenza per stabilizzare i feriti prima del trasporto, un Medevac in gergo tecnico, verso la più vicina struttura ospedaliera. “L’urgenza è il nemico principale contro il quale dobbiamo combattere” spiega Gianluca Polce, chirurgo ortopedico con le stellette che opera con il contingente italiano a Herat, nell’Afghanistan occidentale. “Dobbiamo essere i più veloci e accurati possibili. Sono queste le situazioni in cui si gioca la possibilità di salvare o meno una vita”.

Dall’attacco statunitense del 2001, le ferite ricorrenti subite in Afghanistan sono cambiate rispetto a quelle dei conflitti precedenti come, per esempio, quello in Vietnam. L’impiego di giubbotti antiproiettile coniugato con gli attacchi con ordigni esplosivi improvvisati hanno imposto di focalizzare l’attenzione e gli interventi principalmente sulle ferite riguardanti la zona del capo e quelle degli arti. Con strumenti di pronto soccorso sempre più sofisticati e salva vita messi a disposizione già delle unità di prima linea. La principale lezione appresa in Afghanistan riguarda una semplice verità, sono le cose semplici applicate prontamente e sul posto a salvare la maggior parte delle vite come sottolinea il colonnello statunitense Robert Suter. Tenere aperte le vie respiratorie, fermare le emorragie e trasfusioni di sangue sono gli interventi di stabilizzazione che permettono di guadagnare il tempo vitale necessario per operare in maniera più complessa poi, alzando notevolmente il tasso di sopravvivenza dei feriti. Ma l’incontro con realtà culturali diverse ha imposto anche nuovi approcci tattici e operativi, come spiega Stephanie Buffett, chirurgo dell’équipe italiana di Herat: “Le allieve dei corsi di polizia non possono essere esaminate da uomini e per questo abbiamo organizzato una squadra medica interamente femminile dedicata a tali situazioni. In questo modo possiamo intervenire e spiegare loro come agire in caso di emergenze di pronto soccorso”.

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