Aiutò Dj Fabo al suicidio, Cappato al giudizio Tribunale. “Sono sereno”

Aiutò Dj Fabo al suicidio, Cappato al giudizio Tribunale. “Sono sereno”
Marco Cappato, il tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni
13 febbraio 2018

Per Marco Cappato, sarà il giorno del giudizio. Mercoledì 14 febbraio è infatti prevista la sentenza di primo grado a carico del tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, sotto processo con l’accusa di aiuto al suicidio per aver fornito un “aiuto concreto” a Fabiano Antoniani (il 40enne milanese più conosciuto come “dj Fabo”, rimasto tetraplegico e completamente cieco dopo un grave incidente d’auto del giugno 2014) e avergli fatto così ottenere il suicidio assistito alla clinica Dignistas, struttura sanitaria di Forch, a poco più di una decina di chilometri da Zurigo, specializzata in questo genere di interventi. Un supporto non soltanto logistico e organizzativo, ma anche materiale, dato che fu proprio Cappato a guidare la macchina che il 27 febbraio scorso portò Antoniani nel suo ultimo viaggio da Milano alla Svizzera insieme alla fidanzata, Valeria Imbrogno, e alla madre Carmen Carollo. Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il Sara Arduini hanno chiesto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Perché fu Antoniani, con un movimento della mandibola, ad attivare il macchinario che gli somministrò il farmaco letale. E dunque perché, come avevano sottolineato i magistrati milanesi nella requisitoria del 17 gennaio scorso, “nella fase esecutiva del suicidio, Cappato non ha svolto nessun ruolo”.

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Mentre l’agevolazione al suicidio, reato previsto dall’articolo 580 del Codice penale, “deve riguardare il momento esecutivo del suicidio”, quando cioè l’esponente Radicale era già uscito dalla stanza. Cappato, però, non ci sta a essere assolto perché la sua condotta è stata irrilevante. “Preferisco che mi condanniate”, era stato il suo ultimo appello ai giudici della Corte d’Assise di Milano. Il suo auspicio è di essere dichiarato innocente semplicemente perché aiutò Fabiano a esercitare il suo diritto fondamentale alla libertà di scelta e dunque a una morte dignitosa. E non perché, come sostenuto dalla Procura, non ebbe ruolo attivo nel suicidio assistito di Antoniani. I giudici togati e popolari presieduti da Ilio Mannucci Pacini potrebbero anche decidere di sollevare davanti alla Corte Costituzionale una questione di illegittimità costituzionale sul reato di aiuto al suicidio perchè in aperto contrasto con il diritto fondamentale della dignità della vita, così come chiesto “in subordine” dalla pubblica accusa: “Cappato ha aiutato Fabiano a esercitare un proprio diritto. Non il diritto al suicidio, ma il diritto alla dignità e il diritto a una morte dignitosa. Anche la dignità della morte si inserisce nel principio più ampio della dignità dell’uomo”, aveva puntualizzato il pm Siciliano in un passaggio della sua requisitoria. Oppure – ed è questo il terzo scenario possibile – Cappato potrebbe semplicemente essere giudicato colpevole e condannato a una pena fino a 12 anni di carcere.

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L’inchiesta milanese scattò dopo l’autodenuncia presentata dello stesso tesoriere dell’associazione Luca Coscioni ai carabinieri il 28 febbraio scorso, circa 24 ore dopo la morte di Antoniani. Ma dopo aver ascoltato il personale medico della clinica svizzera insieme ai familiari e agli amici di Fabiano, e condotto una serie di accertamenti di natura documentale, i pm chiesero l’archiviazione del fascicolo. Richiesta respinta dal gip Luigi Gargiulo che ordinò la cosiddetta “imputazione coatta”, obbligando di fatto la procura a esercitare l’azione penale attraverso una richiesta di rinvio a giudizio. Ma Cappato, con un colpo di scena, chiese il processo immediato: una mossa per bruciare le tappe e arrivare il prima possibile a dibattimento saltando la fase di udienza preliminare. Per celebrare il processo sono bastate 4 udienze, tutte caratterizzate da momenti di profonda commozione. Come quando in aula è stato proiettato il video choc (il girato integrale dell’intervista mandata in onda dalla trasmissione Mediaset “Le Iene) delle agonie e sofferenza di Fabiano una volta staccato dal macchinario che gli permetteva di respirare. Oppure come quando la madre Carmen Carollo ha ricordato le ultime parole pronunciate al figlio prima che morisse: “Vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada”.

CAPPATO

Alla vigilia della sentenza della Corte d`Appello di Milano Coscioni, si è detto “sereno” perché “consapevole di aver fatto tutto quello che era nelle mie facoltà. Ho fatto il mio dovere e sono determinato, qualunque sia l’esito del processo. Andrò avanti in ogni caso”. “Io spero che i giudici possano stabilire che la condanna con sanzioni pesanti dell’aiuto alla morte volontaria, senza nemmeno fare distinzioni se la persona è malata in maniera irreversibile e sottoposta ad accanimento terapeutico, è una violazione dei principi di libertà fondamentali” ha aggiunto. “Oppure spero che il discorso venga rinviato davanti alla Corte Costituzionale: sarebbe una soluzione per rivedere finalmente una legge fatta durante il fascismo – ha concluso Cappato – che non fa distinzioni per quanto riguarda la morte volontaria, a prescindere dalle condizioni della persona”.

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