Ali, il più grande di sempre sul ring. La leggenda che rifiutò il Vietnam. L’ultimo round gli è stato fatale. Obama: “Grazie a lui siamo migliori”

Ali, il più grande di sempre sul ring. La leggenda che rifiutò il Vietnam. L’ultimo round gli è stato fatale. Obama: “Grazie a lui siamo migliori”
4 giugno 2016

L’ultimo round, stavolta, gli è stato fatale. Muhammad Ali, considerato da tutti come il più grande pugile della storia, è morto all’età di 74 anni. L’ex campione del mondo dei pesi massi e oro olimpico a Roma ’60, si è spento in un letto dell’ospedale di Phoenix dove era ricoverato da due giorni a causa di gravi problemi respiratori. Appena la notizia si era diffusa in molti avevano pensato che la sua vita fosse arrivata alla fine. Gli stessi famigliari, nonostante il suo portavoce minimizzasse parlando di una situazione sotto controllo, avevano fatto filtrare una certa preoccupazione. Non fosse altro perché Ali era da tempo malato di Parkinson. Una malattia che aveva profondamente modificato la sua immagine potente trasformandolo in una creatura quasi indifesa. Memorabile resterà l’immagine di lui che accende il braciere olimpico ad Atlanta 1996, ma anche la sua apparizione alla cerimonia di apertura di Londra 2012. L’ultima volta che la leggenda della boxe era stata vista in pubblico era lo scorso 9 aprile scorso in occasione di una serata di raccolta fondi contro il Parkinson.

LE VITTORIE Sul ring, l’ultimo match di Mohammed Ali era stato contro Trevor Barbick l’11 dicembre del 1981. Atleta capace di danzare come una farfalla e di pungere come un’ape sul ring, ma soprattutto un mito e un simbolo anche fuori dal ring, Mohammed Ali era nato il 17 gennaio del 1942 a Louisville (Kentucky) e il suo debutto sulla scena mondiale era stato alle Olimpiadi di Roma nel 1960 quando aveva conquistato l’oro per i pesi massimi. Quattro anni dopo era stato incoronato campione mondiale professionista. Sul ring della vita dovette cominciare a combattere molto presto essendo cresciuto nel sud dell’America dei pregiudizi razziali e la discriminazione. Forse proprio per questa sua rabbia abbracciò la boxe, a cui arrivò per caso e uno strano incontro del destino, quando a 12 anni gli rubarono la moto. Cassius disse alla polizia che voleva picchiare il ladro e l’agente, Joe Martin, era anche allenatore di pugili in una scuola locale. Il più grande cominciò allora a lavorare con Martin per imparare la tecnica della boxe e ben presto salì sul ring. Fu un crescendo di successi. Cassius riusciva ad accompagnare alla figura imponete (era alto 1,91), la velocità e la leggerezza della danza: un’accoppiata vincente che lui stesso, anni piu’ tardi, fotografo’ dicendo che sapeva “volare come una farfalla e pungere come un’ape”. Dopo aver conquistato l’oro olimpico contro il polacco Zbigniew Pietrzkowski ai giochi di Roma, Cassius passò al professionismo, continuando a vincere sul ring. E cominciò a inanellare una serie di successi: nel 1963 batte il peso massimo britannico Henry Cooper, nel 1964 a 22 anni batte Sonny Liston e diventa campione mondiale dei pesi massimi. Batte di nuovo Liston nel 1965. E nel marzo del 1971 al Madison Square Garden di New York di fronte a Joe Frazier con una borsa ma vista per l’epoca (2,5 milioni di dollari per ciascuno) subi’ la sua prima sconfitta. Nel “combattimento della giungla” Ali recupera il titolo mondiale dei pesi massimi mettendo k.o. George Foreman all’ottavo round a Kinshasa, all’ora Zaire, il 30 ottobre del 1974: il promotore Don King raccoglie 10 milioni di dollari, tra gli spettatori Mobutu. E torna a sconfiggere il suo acerrimo rivale, Joe Frazier, il 1 ottobre del 1975.

Leggi anche:
Giro d'Italia: tappa a Merlier, Pogacar resta in rosa

LE BATTAGLIE Ma nel 1967 Cassius Clay, apertamente contrario alla guerra in Vietnam, comincia una nuova battaglia: chiamato nell’esercito nell’aprile del 1867, rifiuta di arruolarsi adducendo il suo credo religioso e la sua opposizione alla guerra: viene arrestato, privato del titolo mondiale e della licenza di pugile. E comincia una battaglia con il Dipartimento di Giustizia americano che lo tiene fuori dal ring per tre anni, sette mesi e quattro giorni nel momento migliore della sua carriera sportiva e prestanza fisica. La Corte Suprema americana revoca la condanna nel giugno del 1971. Si ritira dal ring nel 1981 con un record di 56 vittorie (37 per k.o.) e cinque sconfitte (una sola per k.o.); e tre titoli mondiali dal ’64 al ’67, dal ’74 al ’78 e poi per un’ultima breve parentesi nel ’78, quando viene incoronato migliore sportivo del XX secolo. Dopo il suo ritiro, dedica gran parte della sua vita alla filantropia. Nel 1984 annuncia la malattia, una condizione neurologica degenerativa, e il suo impegno e nella raccolta di fondi per l’Ali Parkinson Center Mahoma a Phoenix, Arizona. Nel 1998 viene nominato Messaggero di Pace dalle Nazioni Unite per il suo lavoro nei Paesi in via di sviluppo. Ormai è una leggenda unica dentro il mondo dello sport, accettato da tutti bianchi e neri, come il vincitore della battaglia dell’uguaglianza dei diritti, a prescindere dal colore della pelle e del credo religioso.

OBAMA Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha reso omaggio alla leggenda del pugilato Muhammad Ali, appena scomparso, elogiando un uomo che “ha scosso il mondo” e ha combattuto “per ciò che era giusto”. “La sua lotta al di fuori del ring gli è costata il suo titolo, gli ha procurato numerosi nemici. Ma Ali a tenu bon”, ha sottolineato il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti, ricordato il coinvolgimento del pugile nella lotta per i diritti civili. “Muhammad Ali ha scosso il mondo. E per questo il mondo adesso è migliore. Siamo tutti migliori”. Obama ha espresso, insieme alla first lady Michelle, le sue più profonde condoglianze per la morte di Muhammad Ali. Era “il più grande”, ha detto, “punto e basta”.

Leggi anche:
Giro d'Italia: tappa a Merlier, Pogacar resta in rosa

IL MONDO LO PIANGE Cordoglio in tutto il mondo per la scomparsa di Muhammad Ali. Tra i primi a ricordarlo con affetto e rispetto sono stati proprio i grandi del pugilato. Bellissimo il tweet di George Foreman, il grande rivale insieme a Jose Frazier: “Ali’, Frazier & Foreman eravamo una persona sola. Una parte di me se ne e’ andata, la parte piu’ importante”. “Dio si e’ preso il suo campione”, ha twittato Mike Tyson, che e’ stato il piu’ giovane campione del mondo dei pesi massimi. “Abbiamo perso un gigante”, ha commentato il campione filippino Manny Pacquiao, “la boxe ha beneficiato del suo talento ma mai quanto il mondo ha beneficiato della sua umanita’”. Don King, l’organizzatore delle piu’ grandi sfide di Ali, ha dichiarato che “il suo spirito sopravvivera’ per sempre, era un grande essere umano, un beniamino della gente, il piu’ grande di tutti i tempi”. Uno dei piu’ grandi cestisti di sempre, Kareem Abdul-Jabbar, ha ricordato che “in un periodo in cui i neri che parlavano delle ingiustizie venivano arrestati, lui sacrifico’ gli anni migliori della carriera per combattere per cio’ che riteneva giusto. Potevo essere alto piu’ di due metri ma non mi sono mai sentito alto come quando ero nella sua ombra”. La figlia 41enne, Hana Ali, ha twittato che suo padre era “un’umile montagna”. “Ora e’ andato a casa da Dio, Dio ti benedica papa’. SEI L’AMORE DELLA MIA VITA!” Reazioni anche dal mondo politico: il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Donald Trump, che pure Ali aveva attaccato, Donald Trump, lo ha definito “un vero grande campione e un uomo meraviglioso che ci manchera’”. Per il premier britannico, David Cameron, e’ stato “un paladino dei diritti civili e un modello da seguire oper tanta gente”. Matteo Renzi ha ricordato “la velocita’ e la forza, la lunga battaglia per i diritti civili e quella contro la malattia”. “Ci manchera’ Muhammad Ali'”, ha twittato il premier.

Leggi anche:
Giro d'Italia: tappa a Merlier, Pogacar resta in rosa

LE FRASI LEGGENDARIE “Amo vedere il mio nome dove tutti possono leggerlo. Un giorno lo vedrò circondato da brillantissime, brillantissime luci”. Si espresse così Muhammad Ali dopo la vittoria dell’oro alle Olimpiadi di Roma nel 1960. Questa è solo una delle tante frasi dette dal campione, scomparso questa mattina all’età di 74 anni, durante la sua lunga carriera fatta di provocazioni e tante vittorie. Prima del match contro Sonny Liston nel ’74 in cui si giocava il titolo mondiale Ali si espresse così nei confronti del suo avversario: “Vola come una farfalla, pungi come un’ape. Sonny Liston non è niente. Non sa parlare, non sa combattere, ha bisogno di lezioni di dizione, di boxe. E dopo che mi avrà affrontato avrà bisogno di lezioni su come cadere”. La frase probabilmente più famosa è quella del 17 febbraio 1966 quando commentò il rifiuto di servire l’esercito degli Stati Uniti nella guerra in Vietnam: “Non ho nulla contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro”, parole che diventarono anche lo slogan delle lotte per i diritti dei neri negli anni Sessanta. Dopo aver cambiato il suo nome da Cassius Clay a quello di Muhammad Ali, spiegò con forza il motivo della sua decisione: “Cassius Clay è un nome da schiavo. Non l’ho scelto e non lo voglio. Io sono Muhammad Ali, un nome di libertà, ora dovete usare quello”. Il meglio di sé, però, Ali lo mostrava nelle conferenze stampa alla vigilia degli incontri importanti come quello contro Kinshasa del 1974 quando disse: “Io combatto non per me, ma per i miei piccoli fratelli che stanno dormendo per terra, per la gente di colore che non può mangiare”. “I campioni non nascono in palestra, sono fatti di qualcosa che viene dal loro profondo: un desiderio, un sogno, una visione” e “Un uomo che vede il mondo a 50 anni nello stesso modo in cui lo vedeva a 20 ha perso trent’anni della propria vita” disse al presidente Ferdinand Marcos delle Filippine pochi giorni dopo aver battuto Frazier nel Thrilla in Manila il primo ottobre 1975.

Articolo aggiornato alle 16:37

Segui ilfogliettone.it su facebook
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a redazione@ilfogliettone.it


Commenti