Manovra, ancora modifiche ma nulla su reddito cittadinanza e pensioni

Manovra, ancora modifiche ma nulla su reddito cittadinanza e pensioni
2 dicembre 2018

Raddoppia il taglio dell’Imu per i capannoni così come promesso da Matteo Salvini e arrivano 4mila assunzioni per i centri per l’impiego, primo tassello per la realizzazione del reddito di cittadinanza tanto caro a Luigi Di Maio. E poi ancora, paletti per i furbetti della flat tax, più fondi per ridurre le liste d’attesa della sanità e la proroga della concessione per il superenalotto. Sono tante le novità in arrivo – fino anche alla nascita del catasto della frutta – nella cinquantina di emendamenti di governo e relatore alla manovra depositati in commissione alla Camera, ma non c’è traccia delle modifiche attese sulle misure di bandiera di Lega e M5S, pensioni e reddito di cittadinanza. Correttivi su cui si sta giocando la partita con Bruxelles e che sono al centro di un ennesimo braccio di ferro fra i due partiti azionisti del governo giallo-verde.

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Nel dettaglio, sono destinate nuove risorse al taglio delle liste d’attesa per le prestazioni sanitarie (da 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 a 150 milioni per il 2019, 100 milioni per il 2020 e 100 milioni per il 2021) e sono previste agevolazioni a favore delle piccole farmacie: quelle con un fatturato annuo Ssn inferiore a 150.000 euro saranno esclude dall’ambito di applicazione delle percentuali di sconto operate dal Ssn verso le farmacie convenzionate.  In arrivo piu’ fondi per la sicurezza urbana e per la ricerca. Nel primo pacchetto di emendamenti depositato dall’esecutivo non c’e’ traccia delle modifiche attese sulla famiglia e il taglio delle pensioni d’oro. Il governo potrebbe presentare una seconda tranche di proposte ma, almeno per quanto riguarda le pensioni, e’ probabile che alla fine si decida di rinviare tutta l’operazione, compresa quota 100 per il superamento della riforma Fornero, al Senato. Cosi’ come ha lasciato capire il presidente della commissione Bilancio, Claudio Borghi, che ha chiarito che alla Camera non c’e’ piu’ tempo per intervenire. Non e’ escluso, tuttavia, che alcuni ritocchi possano ancora arrivare a Montecitorio, magari nel passaggio in Aula.

L’obiettivo dell’esecutivo, ribadito più volte dal premier Giuseppe Conte in occasione del G20 di Buenos Aires, è quello di evitare la procedura di infrazione sulla manovra italiana. Un negoziato che si gioca proprio sulle correzioni che si intende apportare alla manovra ma di cui al momento non c’è traccia. Sembra ormai evidente da giorni che i nodi verranno affrontati in seconda lettura al Senato, e ad avvalorare questa strada è stato il presidente della commissione Bilancio di Montecitorio Claudio Borghi che, dopo i continui slittamenti dell’esame, ha chiarito che alla Camera non ci sono più i tempi per intervenire. Oggi, infatti, riprenderanno no-stop i lavori della commissione che proseguiranno ad oltranza domani a partire dalle 10 con l’obiettivo di licenziare il provvedimento martedì e consentire l’approdo in Aula mercoledì. Il calendario è fittissimo. Solitamente la prima settimana di dicembre le ex Finanziarie erano già state approvate da un ramo del Parlamento e si accingevano ad iniziare l’iter nell’altro ramo.

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Quest’anno il rischio di uno slittamento del via libera finale della manovra a dopo Natale è concreto. Tutto, ovviamente, dipende dall’accordo nell’esecutivo sui due pilastri, reddito e pensioni, che dovranno essere riscritti e rimodulati per consentire qualche risparmio aggiuntivo da utilizzare molto probabilmente per ridurre la fatidica soglia del 2,4% di deficit considerata intoccabile fino a solo qualche giorno fa. Per fare un ennesimo punto su quest’argomento ci sarà quasi certamente un nuovo vertice di governo a palazzo Chigi entro domani. Ma Lega e 5S sono divisi in particolare sulla riduzione del deficit e sull’ipotesi di tagliarlo fino al 2% per accontentare le richieste della Ue. L’Europa adesso vuole vedere che alle parole di apertura di Conte e Tria seguano dei impegni concreti. Una riduzione del disavanzo fino al 2,1% comporterebbe un taglio di 5 miliardi di spesa che salirebbe a 7 miliardi se l’asticella venisse fissata al 2%.

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