“Area riformista”, l’ennesima corrente del Pd

2 aprile 2014

Il terreno di battaglia ufficiale sarà il dl lavoro e lo si vedrà già domani sera nella riunione del gruppo Pd alla Camera con il ministro Poletti. Le riforme no, nessuno ci sta a passare da conservatore, tanto meno su temi da anni cari a tutto il Pd. Ma sullo sfondo c’è la riorganizzazione del partito e la leadership del fronte che non si è allineato a Matteo Renzi. La minoranza dem, anzi le minoranze dem, si riorganizzano dopo le primarie e dopo l’arrivo al governo dell’ex sindaco di Firenze. Nessuno vuole stare nella “ridotta del rancore”, pochi ci stanno a fare gli anti-Renzi a tutto tondo. La sfida è doppia: gestire il rapporto di distanza da un premier sempre più protagonista e guidare il fronte dei non allineati alla sua nuova guida, che somma partito e governo. Per fare questo è stata convocata una riunione a cui hanno partecipato circa 130 parlamentari: siamo leali ma autonomia da Renzi è la parola d’ordine della nuova “area riformista”.

Tra loro Roberto Speranza e Guglielmo Epifani, ma anche Davide Zoggia e Nico Stumpo, il ministro Maurizio Martina, Paola De Micheli e Stefano Fassina, Danilo Leva e Cesare Damiano, e poi Francesco Russo, Enrico Gasbarra, Massimo Mucchetti, Alfredo D’Attorre, E ancora Amendola, Simoni, Fedeli, Martini, Lai, Colaninno, Chiti, Manconi, Corsini, Carrozza, Miotto. “Noi siamo riformisti – spiega Zoggia – vogliamo dire la nostra ma non vogliamo frenare”. Perché sulle riforme questa area che si sta riorganizzando, composta da bersaniani, alcuni dalemiani, alcuni lettiani, molti non allineati, non ha nessuna intenzione di mettere i bastoni tra le ruote a Renzi. Diverso il discorso sul dl lavoro: anche per il mercato del lavoro una riforma va fatta, ma le correzioni al dl Poletti devono essere assai generose. Quanto al partito, l’area che nasce stasera non è pregiudizialmente contraria a un ingresso in segreteria, ma vuole prima vedere le carte della conferenza annunciata da Renzi all’ultima direzione. “Noi entriamo in segreteria ma non in maggioranza, questo deve essere chiaro, non siamo “anti” ma siamo autonomi” spiega uno tra gli ispiratori della riunione. “Vogliamo archiviare il congresso, aprire un cantiere aperto che vada anche oltre il partito. Ma vogliamo anche organizzarci, visto che siamo stati criticati dai Giovani turchi per non averlo fatto, vogliamo incidere sulle politiche di governo a livello parlamentare e anche di elaborazione nel partito e vogliamo riprendere i rapporti con il territorio e con i circa 4000 circoli”. All’incontro anche Gianni Cuperlo, sfidante di Renzi alle primarie. Molti hanno visto nella riunione un modo per depotenziare quella da lui convocata per il 12 aprile e per ‘revocargli’ la leadership della minoranza. “In realtà la nostra ambizione è allargare l’area che ha sostenuto Cuperlo alle primarie” assicura uno degli organizzatori. Di certo l’allargamento non raggiungeà i Giovani Turchi, almeno finora.

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“Noi avevamo già convocato una nostra riunione da tempo” spiega Matteo Orfini. Le posizioni ora sono simili sui provvedimenti, ma diverse sul partito, in una sorta di scambio di ruoli. Sulle riforme i Giovani Turchi aprono, fatte salve alcune modifiche sulla falsariga di quanto detto da Luciano Violante. Mentre sul dl lavoro chiedono o un ripensamento totale per avere un piano lavoro più organico, con l’introduzione anche del contratto di inserimento, o quantomeno la revisione del numero di rinnovi e dell’apprendistato. Ma sul tema della gestione unitaria del partito dopo una ipotesi di apertura, i Giovani Turchi stoppano. Non gli è piaciuta la nomina di due vicesegretari nell’ultima direzione. “Si dica chiaro e tondo che c’è una gestione di maggioranza – spiega Orfini – legittimo, ma allora noi non entriamo in segreteria”. A lato delle due componenti ce n’è una terza “piccola ma strutturatissima”, quella che fa capo a Pippo Civati. “Ma noi siamo pazienti” spiega un esponente della minoranza che si riunisce stasera per la prima volta, “e con il tempo speriamo di allargarci e di convincere anche gli altri”. (Il Tempo)

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