Arresti corruzione, sentenze comprate e falsi dossier per spiare anche inchiesta Eni. “Giudice svendeva la propria funzione”

Arresti corruzione, sentenze comprate e falsi dossier per spiare anche inchiesta Eni. “Giudice svendeva la propria funzione”
6 febbraio 2018

I magistrati di Roma e Messina che hanno chiesto e ottenuto l’arresto di 15 persone, tra cui l’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, gli avvocati siracusani Piero Amara e Giuseppe Calafiore e il legale romano Fabrizio Centofanti, hanno scoperto una vera e propria associazione a delinquere in cui il magistrato aveva un ruolo rilevante. Per anni avrebbe messo a disposizione la sua funzione giudiziale, in cambio di soldi, per aiutare i clienti dei due avvocati siracusani. I magistrati che ne hanno chiesto l’arresto parlano di “mercificazione della funzione giudiziaria”. E aggiungono: “Longo usava le prerogative a lui attribuite dall’ordinamento per curare interessi particolaristici e personali di terzi soggetti dietro remunerazione. Tali condotte vengono riscontrate a partire dal 2013 e perdurano sino ai primi mesi del 2017”. I metodi usati da Longo erano tre: creazione di fascicoli “specchio”, che il magistrato “si auto-assegnava – spiegano i pm che hanno condotto l’inchiesta – al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando cosi’ la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli “minaccia”, in cui “finivano per essere iscritti – con chiara finalita’ concussiva – soggetti ‘ostili’ agli interessi di alcuni clienti di Calafiore e fascicoli “sponda”, che venivano tenuti in vita “al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara”.

TUTTO NASCE A INIZIO 2016

Tutto ha inizio nel 2016 quando Alessandro Ferraro, anche lui tra gli arrestati, e collaboratore di Amara, sporge denuncia alla procura di Siracusa sostenendo di essere stato vittima di un tentativo di sequestro. Longo, che conosceva Ferraro in quanto aveva indagato su di lui in passato, si assegna il fascicolo sul presunto rapimento. E comincia a svolgere una serie di indagini con acquisizioni documentali “di dubbia utilita’” dicono gli inquirenti che hanno ricostruito la vicenda, “ma certamente idonee a portare a conoscenza della societa’ ENI l’esistenza di un procedimento penale nel quale risultava in qualche modo coinvolta”. Ferraro, nel suo rocambolesco racconto, cita la figura di un personaggio, Massimo Gaboardi, tecnico petrolifero “la cui posizione, effettiva attivita’ lavorativa, esistenza di legami con i protagonisti della vicenda, non e’ ben chiara, ne’ costitui’ oggetto di approfondimento alcuno”, spiegano gli investigatori. Gaboardi viene sentito da Longo, prima come teste, poi indagato e racconta di un complotto volto a destabilizzare l’Eni. Le sue dichiarazioni vengono confermate da un altro soggetto, Vincenzo Armanna. I due parlano di gruppi di potere italiani e nigeriani che avrebbero complottato per destabilizzare l’Eni attraverso la delegittimazione del suo ad Claudio Descalzi. Lo scopo sarebbe stato determinarne la sostituzione con Umberto Vergine, ex ad di Saipem. Contestualmente sulla storia indaga pero’ anche la Procura di Trani che nel tempo ha ricevuto tre esposti, ma siccome l’origine della vicenda sarebbe a Siracusa gli atti dei colleghi pugliesi vengono trasmessi a Longo. A luglio del 2016, pero’, il pm e’ costretto a mandare tutto alla procura di Milano che sull’Eni ha aperto un’indagine per Corruzione internazionale. “Nonostante fosse stata disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Milano – scrivono i magistrati che hanno arrestato l’ex pm siracusano – Longo continuava a compiere atti nell’ambito del suddetto procedimento quali la notifica di informazione di garanzia ai dipendenti dell’Eni Luigi Zingales e Karina Litvack e a Umberto Vergine”. Tra dossier falsi e falsi verbali di interrogatorio – sempre secondo gli inquirenti – si mette su un vero e proprio piano di depistaggio. Per gli inquirenti “Gaboardi era stato pagato da Ferraro per comparire all’interno del procedimento istruito a Siracusa, come depositario di conoscenze relative al presunto complotto ordito ai danni di Descalzi e della societa’ Eni”. I magistrati parlano di “regia occulta di Amara che, avvalendosi dell’asservimento di Longo, orchestrava una complessa operazione giudiziaria il cui fine ultimo era di ostacolare l’attivita’ di indagine svolta dalla procura di Milano nei confronti dei vertici dell’Eni”.

GLI ARRESTATI

Riccardo Virgilio, Pietro Amara, gli imprenditorI Fabrizio Centofanti e Ezio Bigotti, quest’ultimo gia’ coinvolto nel caso Consip, Luciano Caruso, Giuseppe Calafiore, l’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, Alessandro Ferrari, Giuseppe Guastella, Davide Venezia, Mauro Verace, Salvatore Maria Pace, Vincenzo Naso e Sebastiano Miano. Indagati anche Gianluca De Micheli e Francesco Perricone.

TRE LE SENTENZE AGGIUSTATE 

Sono tre le sentenze “aggiustate” contestate dai pm della Procura di Roma all’ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio, indagato per corruzione in atti giudiziari nell’inchiesta, coordinata con la Procura di Messina, che ha portato oggi all’arresto di 15 persone. Il giudice Virgilio (oggi in pensione) avrebbe ‘pilotato’ tre sentenze che hanno inciso favorevolmente per clienti degli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore (indagati in concorso con il magistrato).  Le sentenze, in particolare – in base a quanto accertato dai procuratori aggiunti Paolo Ielo, Rodolfo Sabelli e Giuseppe Cascini – riguardano una societa’ del gruppo Bigotti che, nell’ambito delle gare Consip, riesce ad ottenere un appalto pari a 388 milioni di euro. Nei procedimenti Enzo Bigotti era difeso da Amara.

L’EX PM LONGO E LE CIMICI

L’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, arrestato oggi e accusato di associazione a delinquere, corruzione e falso era stato già sanzionato nei mesi scorsi dal Csm a seguito di un procedimento disciplinare e poi trasferito il 26 luglio da Siracusa, dove era pm, al tribunale civile di Napoli come giudice. Il magistrato da qualche mese ha chiesto il trasferimento al tribunale di Napoli. “In qualita’ di pubblico ufficiale svendeva la propria funzione”, si legge nella misura cautelare emessa a suo carico. Di Longo il giudice scrive che, inoltre, “ha dimostrato di possedere una personalita’ incline al delitto, perpetrato attraverso la strumentalizzazione non solo della funzione ricoperta, ma anche dei rapporti personali e professionali”. “La gravita’ delle condotte da lui poste in essere in qualita’ di pubblico ufficiale che svendeva la propria funzione, – prosegue – concorreva alla redazione di atti pubblici ideologicamente falsi, si faceva corruttore di altri pubblici ufficiali, con piena accettazione da parte degli stessi, che venivano per giunta da lui remunerati con soldi pubblici, intratteneva una rete di rapporti dall’origine oscura e privi di apparente ragion di essere oltre che, in certi casi, contraria ai piu’ elementari principi di opportunita’, depone nel senso della assoluta insufficienza a contenere il pericolo di reiterazioni criminosa attraverso misure diverse e meno afflittive della custodia cautelare in carcere”. Longo, arrestato oggi, tra l’altro per associazione a a delinquere e Corruzione, aveva il sospetto che stessero indagando su di lui. Per questo commissiono’ a un privato che lavorava con la Procura di effettuare una bonifica all’interno del suo ufficio per verificare l’eventuale presenza di microspie. Con il tecnico si giustifico’ dicendo che ad indurlo in allarme era stata la “visita” dei finanzieri inviati dalla Procura di Messina che, in effetti, stavano indagando sul collega. La bonifica non diede frutti, ma Longo, qualche giorno dopo, trovo’ le “cimici” da solo. Una telecamera piazzata nella stanza lo immortala mentre sale sulla scrivania per perlustrare l’ufficio. Per accertare chi gli avesse dato la ‘dritta’, gli inquirenti decisero di sequestrargli il cellulare e andarono in Procura, ma l’ex pm non c’era. Ad avvertirlo fu un collega, anche lui gia’ indagato e condannato per vicende analoghe, Maurizio Musco. A quel punto, Longo si precipito’ in ufficio e dichiaro’: “Non ho al seguito il cellulare contraddistinto in quanto, lo stesso, si e’ rotto. Preciso, altresi’, che tale apparato telefonico si trova presso la mia abitazione di Mascalucia”. Ma chiaramente a casa dell’ex pm del telefonino non c’era traccia. Longo l’aveva fatto sparire.

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