Di Battista è l’Aldo Biscardi della politica italiana

Di Battista è l’Aldo Biscardi della politica italiana
Alessandro Di Battista
7 febbraio 2019

Quando nel marzo del 2000 la Procura di Roma archiviò senza prendere provvedimenti la querela per diffamazione che un gruppo di arbitri aveva sporto contro Aldo Biscardi e altri ospiti del suo celeberrimo “Processo”, le motivazioni della decisione furono emblematiche: “La credibilità oggettiva delle notizie riportate e fatte oggetto di dibattito – scrissero i giudici – è riconosciuta come assai bassa, secondo l’opinione comune, trattandosi non infrequentemente di notizie create o gonfiate per suscitare la polemica”. La conclusione dei giudici fu che “i toni, la sede e la natura degli interventi depongono per essersi trattata di una tipica discussione ‘da bar’ finalizzata all’incremento dell’audience attraverso l’uso di toni e contenuti platealmente esagerati”. Biscardi, insomma, fu assolto perché l’opinione pubblica non lo considerava credibile. Ciò che diceva, anche gli insulti, andavano accolti con un’alzata di spalle rassegnata. “Che vuoi farci, è Biscardi…”.

Aldo Biscardi

In questi giorni ho ripensato spesso a quella vicenda, e a farmela tornare in mente sono le parole spese in libertà da Alessandro Di Battista e le retromarce messe puntualmente in scena dai Cinquestelle di governo. Qualche giorno fa l’ex deputato grillino era andato all’attacco come un toro sul caso Venezuela. “Firmare l’ultimatum Ue al Venezuela è una stronzata megagalattica. E mi meraviglio di Salvini che fa il sovranista a parole ma poi avalla, come un Macron o un Saviano qualsiasi, una linea ridicola” aveva scritto su Facebook. L’attacco all’alleato di governo non era certo inedito, se non forse per i toni particolarmente accesi. In ogni caso, dal MoVimento 5 Stelle era stata fatta filtrare la solita giustificazione: “Alessandro esprime le sue opinioni. Ma non ha alcun ruolo nel governo o incarico nel MoVimento”. Quindi: non date troppo peso alle sue parole…

Giorni dopo, ospite a Porta a Porta, Dibba si è trovato a commentare l’annuncio – poi ritrattato – del ministro della Difesa Elisabetta Trenta di un imminente ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan. Scelta appoggiata e rivendicata da Di Battista. Che, però, di fronte alle insistenti domande dei giornalisti circa l’opportunità di fare un annuncio del genere senza aver prima messo al corrente della cosa la Farnesina, alla fine se ne è uscito giustificandosi col fatto che lui, in realtà, ai consigli dei ministri non partecipa, quindi non è colpa sua se qualcosa nelle comunicazioni all’interno del governo non ha funzionato. Non c’entrava nulla, insomma. Questa volta non erano stati gli altri a ridimensionare la sua posizione, ma era stato lui stesso a schernirsi dietro l’ambiguità di una persona che non si sa bene a nome di chi e di che cosa parli. In un Paese normale dopo questa frase Bruno Vespa avrebbe dovuto stringere la mano all’ospite, scusarsi per essersi sbagliato a convocare in trasmissione la persona sbagliata, congedare Dibba e cambiare argomento. In un Paese normale, appunto…

In questi giorni, invece, l’ex deputato grillino è impegnato in un tour elettorale in Abruzzo per sponsorizzare la candidatura alla presidenza della Regione di Sara Marcozzi. I vari comizi sono stati l’occasione per tracciare un interessante parallelo: perché fare la Tav Torino-Lione quando per arrivare in treno da Roma a Pescara ci vogliono sei ore? Naturalmente Dibba ha usato il suo linguaggio, al solito più eloquente: “Se la Lega intende andare avanti su un buco inutile che costa 20 miliardi e non serve a niente, tornasse da Berlusconi e non rompesse i coglioni, chiaro?”. Anche in questo caso, probabilmente, qualcuno proverà a ridimensionare l’uscita sostenendo che “Alessandro ha il suo stile, le sue idee, la posizione del governo è un’altra, c’è l’analisi costi-benefici” ecc.

Il punto è che, lungi dall’essere casuale, la strategia messa in campo dal MoVimento 5 Stelle dopo il ritorno di Di Battista dal Sudamerica serve proprio a correggere quelle concessioni al buon senso che chi è al governo deve necessariamente fare. Di Battista è l’amante che restituisce alla moglie la voglia di sognare. Perché il marito, tra bollette da pagare, pancetta, calvizie incipiente, figli da accompagnare a scuola ecc, non è più capace di farlo. Un tempo questo compito veniva svolto dall’opposizione, oggi il “governo del cambiamento” ha incorporato persino le ragioni di chi non condivide il suo operato. Pensateci: il segreto del populismo più estremo è quello di interpretare tutte le parti in commedia. La maggioranza e l’opposizione.

Se c’è qualcuno scontento di quello che sta facendo il MoVimento 5 Stelle al governo – sulla Tap, sull’Ilva, sulla possibile decisione di salvare Salvini dal processo, sull’eccessiva durezza con i migranti – arriva subito un Di Battista (o magari un Roberto Fico) – a tuonare e a riportare l’asse grillino nella giusta direzione. E se anche le cose non dovessero andare come previsto, potrà sempre dire che, in fondo lui, il Dibba, con il governo c’entra poco, è solo lì per dare una mano, il tempo di richiudere i bagagli e partire stavolta per l’Africa, dalla quale si collegherà poi in video per vomitare di volta in volta insulti a Salvini, a Renzi, alla Boschi. Senza che nessuno poi possa chiedergliene conto, senza assumersene la responsabilità. Come un Biscardi qualsiasi. E, a lungo andare, su per giù con la stessa credibilità.

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