Bce vede frenata Pil ma rinvia a marzo eventuali correzioni rotta

Bce vede frenata Pil ma rinvia a marzo eventuali correzioni rotta
Mario Draghi
25 gennaio 2019

Dall’economia di Eurolandia continuano a arrivare segnali di debolezza, ma al Consiglio direttivo della Bce non sono ancora tutti convinti di trarne le dovute conseguenze in termini di politica monetaria. “Ci siamo dati più tempo” per valutare se i fattori che pesano al ribasso sull’economia hanno avuto un impattato strutturale e “a marzo avremo una nuova discussione, quando saranno disponibili anche le nuove previsioni dei tecnici”. Questa la fotografia che il presidente, Mario Draghi, ha fornito al termine della riunione. Ha fondamentalmente descritto due schieramenti. Da un lato quelli più prudenti nel riconoscere l’indebolimento, presumibilmente i “falchi”, perché ammettere che la congiuntura rallenta significa aprire a un prolungamento della linea morbida (laddove l’ala intransigente vorrebbe all’opposto iniziare un percorso quantomeno di normalizzazione).

Dall’altro quelli che ritengono la frenata sia strutturale e che bisogna aggiustare anche la politica monetaria. “Una parte del Consiglio non esclude che possa esserci un esito più benigno – ha detto Draghi -. Un’altra parte tende ad escluderlo e preme per una revisione al ribasso” sulle attese. “Le conseguenze di questa discussione si ripercuoteranno sui tassi di mercato”. Perché il quadro di rallentamento dell’economia “avrà chiaramente” ricadute sulle future decisioni di politica monetaria della Bce, che nella riunione di oggi del Consiglio direttivo “non sono state discusse”. L’euro ha reagiti con una marcata altalena, già a 1,1305 dollari, poi in risalita a 1,1380 e poi di nuovo in calo a 1,1316 in serata.

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La Bce ha confermato tutti i livelli di riferimento dei tassi di interesse dell’area euro e anche l’orientamento a non aumentarli “almeno fino all’estate del 2019”. Il punto è che questa indicazione ora potrebbe slittare ulteriormente in avanti. La Bce ha anche ribadito che continuerà a reinvestire, integralmente, gli oltre 2100 miliardi di euro di titoli di Stato in scadenza del Quantitative easing. Draghi ha spiegato che questo implica come in media quest’anno l’istituzione dovrà ricomprare l’equivalente di 15 miliardi di euro di titoli ogni mese: “grossomodo lo stesso ammontare di acquisti netti che abbiamo seguito fino a dicembre”, ha fatto notare. Intanto “le informazioni giunte dell’economia hanno continuato ad essere più deboli del previsto. La persistenza dell’incertezza, in particolare su fattori geopolitici e sul rischio di protezionismo commerciale, pesano sul clima di fiducia”.

D’altra parte “le condizioni accomodanti di politica monetaria e le dinamiche favorevoli dei salari continuano a sostenere l’espansione economica e le pressioni sull’inflazione”, ha aggiunto. Il tutto mentre l’anno è iniziato con segnali che confermano il quadro di rallentamento. Proprio oggi le indagini sull’attività delle imprese hanno mostrato un’area euro in zona stagnazione su gennaio. Quindi eventuali correzioni di rotta, che più che altro riguardano il rinvio della data di ipotetico rialzo dei tassi, si valuteranno a marzo, come atteso da diversi analisti. Per il resto Draghi ha rilanciato i richiami ai Paesi ripristinare margini di bilancio, specialmente negli Stati ad elevato debito dove il rispetto del Patto Ue sui conti è cruciale.

E si è lamentato dell’evidente rallentamento del processo di riforme strutturali su scala nazionale e di rafforzamento dell’Unione monetaria, su scala comunitaria. Non ha voluto esprimersi sul tema del suo successore (il mandato del presidente si concluderà a ottobre), che difficilmente verrà affrontato prima dell’esito delle elezioni europee, quando si incastrerà assieme all’articolato pacchetto di nomine di commissari europei. Quanto alle sollecitazioni che arrivano dalla politica “è comprensibile che quando le cose non vanno come dovrebbero i politici protestino e dicano quel che vogliono ed è anche comprensibile – ha ironizzato – che la Bce non li ascolti”.

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