Il calo di credibilità della Chiesa e la crisi della politica, il “viaggio non semplice” del Papa nella sua America latina

15 gennaio 2018

Per dirla con il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, quello che il Papa comincia oggi in Cile e prosegue in Perù fino al 21 gennaio ‘sarà un viaggio non semplice, ma davvero appassionante’. Non si tratta di una novità per un Pontefice che ha affrontato trasferte diplomaticamente molto delicate come la Repubblica centrafricana in guerra, la Colombia del fragile accordo di pace tra guerriglieri e governo o, da ultimo, Sri Lanka e Bangadesh alle prese con la crisi dei rohingya, minoranza musulmana perseguitata nel primo e accolta nei campi profughi del secondo paese. La sesta trasferta del Pontefice argentino in America latina presenta tuttavia difficoltà diverse, relative ai problemi che la Chiesa e le istituzioni democratiche attraversano in tutto il subcontinente dal quale Jorge Mario Bergoglio proviene. In Cile il vescovo di Roma farà tappa a Santiago, Temuco e Iquique, mentre in Perù a Lima, Puerto Maldonado e Trujillo. Il viaggio del Papa è stato preceduto, nei giorni scorsi, da quattro attacchi a differenti chiese di Santiago del Cile nonché l`occupazione della nunziatura apostolica da parte dei movimenti per il diritto all’abitare. E’ il segno di un malcontento di lungo periodo che investe tanto la presidente uscente socialista Michelle Bachelet quanto il suo successore conservatore Sebastiano Pinera che entrerà in carica a marzo. Sullo sfondo, la questione mapuche, nazione tribale di circa un milione di persone tra Cile e Argentina mai sottomessa all’impero inca e piegata dai colonizzatori spagnoli con violenze, espropriazioni e violazione dei diritti umani. Ancora oggi, i mapuche rivendicano i loro diritti tra molte difficoltà: in Argentina è noto il recente caso del giovane attivista Santiago Maldonado trovato morto dopo una manifestazione a loro sostegno, il governo cileno è ricorso alla legge antiterrorismo per incarcerare decine di dirigenti indigeni.

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Anche la Chiesa ha un atteggiamento ambivalente. Secondo padre José Fernando Diaz, ‘in generale, i vescovi ignorano la profondità della religione tradizionale mapuche, che considerano mera religiosità popolare. Non hanno promosso un lavoro teologico e hanno ignorato quello realizzato in tal senso dal Consiglio episcopale latinoamericano (Celam). Alcune diocesi però – sottolinea in un’intervista a Mauro Castagnaro per il mensile Jesus il referente di una teologia india cilena al Consiglio episcopale latinoamericano prima che il vescovo Francisco Javier Stegmeier sopprimesse la pastorale Mapuche nel 2009 – hanno riconosciuto sul piano politico il loro status di popolo. Sotto la guida di monsignor Sergio Contreras, vescovo di Temuco dal 1977 al 2001, hanno compiuto azioni concrete per difendere il popolo araucano contro le pretese totalitarie della dittatura del generale Augusto Pinochet, che voleva risolvere definitivamente la questione mapuche, riducendone le terre a proprietà private e gli indigeni a semplici cileni. Dopo non è più stato fatto un lavoro serio e sistematico a loro favore, ma ci si è limitati a interventi puntuali in caso di crisi umanitarie, scioperi della fame, rivendicazioni territoriali, ecc. In generale i vescovi si tengono a distanza dalla questione mapuche e non sono disposti a sporcarsi le mani con questo conflitto a partire dal Vangelo. Perciò i mapuche si allontanano dalle Chiese’. L’incontro con le popolazioni mapuche cilene è stato inserito nel programma per volere espresso del Papa, che il 17 gennaio dalla capitale Santiago si trasferirà a Temuco e presso l`aeroporto della Base aerea Maquehue o Manquehue presiederà una celebrazione eucaristica per i popoli “araucani” o “mapuches”.

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In Cile, in generale, Papa Francesco dovrà ‘liberarsi di due pastoie comparse in questi mesi’, ha scritto Luis Badilla su Terre d’America: ‘La prima riguarda l`organizzazione della visita messa in atto dalla chiesa cattolica, non particolarmente dinamica, espansiva e coinvolgente. Per poter recuperare la partecipazione del popolo, che come detto si teme scarsa, Bergoglio dovrà ricorrere a tutto il suo coinvolgente magistero e alla sua sorprendente fisicità pastorale. Il secondo ostacolo che il Papa dovrà superare riguarda invece la rigidità e l`impaccio mostrato dalle autorità cilene nella preparazione e organizzazione di un evento che in buona misura sembrano aver subito con passività, quasi prigioniere di questioni elettorali, crisi dei partiti e precarietà della situazione economica’. Quanto al Perù, subito dopo Natale il paese è stato scosso il Paese è scosso dalle proteste dopo che il capo di Stato Pedro Pablo Kuczynski ha firmato il decreto che concede l`indulto, per ragioni umanitarie, a Alberto Fujimori, ex presidente-dittatore, in carcere per crimini contro l`umanità. Il giorno in cui Kuczynski ha rischiato l`impeachment per il coinvolgimento in uno scandalo di corruzione, proprio su richiesta di Keiko Fujimori, figlia del leader imprigionato e capo dell`opposizione. A salvare Kuczynski, sono stati i dieci voti imprevisti di altrettanti deputati ‘fujimoristi’. Il Perù, ha scritto su Avvenire Lucia Capuzzi, ‘vive una delle peggiori crisi politiche dalla fine del conflitto civile con la guerriglia pseudo maoista di Sendero Luminoso, nel 2000, a tre settimane dal viaggio di papa Francesco che si recherà nel Paese dal 18 al 21 gennaio. Proprio le repressioni indiscriminate ai danni della popolazione rurale durante quell`epoca di violenza costarono la reclusione di Fujimori’.

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Un passato doloroso, che il Papa di fatto affronterà quando, il primo giorno in Perù, venerdì 19 gennaio, prima ancora di incontrare le autorità, il pomeriggio a Lima, si recherà la mattina (pomeriggio italiano) a Puerto Maldonado, a sud del paese, nel cuore dell’Amazzonia. Qui incontra la popolazione indigena, consegna loro copie della enciclica Laudato si tradotta nelle lingue locali, visita l’Hogar ‘El Principito’, opera della Chiesa per aiutare i bambini vittime di violenza e di sfruttamento lavorativo nelle mine. A conclusione della visita, e prima di ripartire per Lima, il Papa pranzerà con nove rappresentanti dei popoli dell’Amazzonia nel Centro Pastorale Apaktone, nome indigeno del missionario domenicano José Alvarez Fernandez. Nel seguito del Papa ci saranno il cardinale brasiliano Claudio Hummes, presidente della Rete Ecclesiale Pan-amazzonica (Repam), e il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo, che rimarrà a Puerto Maldonado alcuni giorni per dedicarsi ai preparativi dell’assemblea straordinaria che il Pontefice ha convocato per il 2019. La situazione ecclesiale non è meno problematica. Il Papa incontrerà due Chiese in difficoltà. Quella cilena, già circondata da grande prestigio per l`opposizione alla dittatura militare del generale Auguto Pinochet, è precipitata al più basso livello di gradimento popolare nel continente, secondo il Rapporto Latinobarometro 2017, a causa degli scandali legati agli abusi sessuali del clero. Nei giorni scorsi BishopAccountability.org, che compila un database di religiosi accusati pubblicamente di abusi sessuali contro i minori, usando le informazioni arrivate dai tribunali e dai media, ha contato almeno 80 sacerdoti cattolici accusati di pedofilia in Cile dal 2000.

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Secondo l’associazione si tratta di ‘una frazione del numero totale’. Tra i preti, numerosi stranieri inviati a un certo punto del loro ministero in Cile dai propri vescovi. La lista include il sacerdote cileno Fernando Karadima, condannato all’età di 80 anni nel 2011 dal Vaticano ad una vita di ritiro e preghiera. La giustizia cilena non lo ha condannato. Si tratta di una figura-chiave della Chiesa del paese, carismatico sacerdote riverito dall’establishment cileno che ha avuto tra i suoi seguaci diversi sacerdoti poi divenuti vescovi. ‘Sulla vicenda di padre Fernando Karadima si fanno libri, programmi televisivi, addirittura film. E questo diventa un come un marchio di infamia che pesa su tutta la Chiesa e tutti i sacerdoti’, ha detto a Vatican Insider il gesuita cileno Fernando Montes Matte, amico di Jorge Mario Bergoglio che farà parte del seguito papale. ‘Un problema che non so come si va a risolvere è quello del vescovo Juan Barros, nominato da Papa Francesco alla guida della diocesi di Osorno. Fa parte dei cinque vescovi considerati vicini al sacerdote Karadima. Nella diocesi di sono gruppi che lo contestano e annunciano manifestazioni. Il Papa tiene informazioni dirette dal vescovo e sul vescovo. Ma forse è meno informato su quello che la nomina ha provocato e sta provocando nel Paese. Anche i vescovi di fatto hanno preso le distanze da Barros, e pochissimi vescovi sono andati alla sua presa di possesso della diocesi. Il Papa ha ragione a dire che contro Barros non ci sono prove e nessuna condanna. Ma lui è diventato il simbolo di quella situazione legata a quel gruppo di persone vicine a Karadima, anche se non ha colpe personali. E
anche se non può essere accusato individualmente, forse, alla luce di tutto questo, la sua nomina non è stata prudente’.

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Meno esplicite sono le tensioni che attraversano la Chiesa peruviana ‘e hanno al centro l`arcivescovo di Lima, il cardinale Juan Luis Cipriani, legato all`Opus Dei, accusato di comportamenti autoritari e di eccessiva prossimità ai poteri forti nel Paese’, scrive Castagnaro su Jesus. ‘E se l`annosa controversia tra lui e le autorità accademiche della Pontificia università cattolica del Perù sull`orientamento e le proprietà dell`ateneo è stata risolta dalla Santa Sede nel 2016 a favore delle seconde, restano aperte le ferite dei provvedimenti disciplinari presi dal porporato contro ecclesiastici di fama come padre Eduardo Arens, uno dei maggiori biblisti latinoamericani, nel 2009, e padre Gaston Garatea, da sempre in prima linea nella difesa dei diritti umani, nel 2012’. Anche in Perù, poi, non manca il problema degli abusi. Nei giorni scorsi il Vaticano ha commissariato il Sodalizio di Vita Cristiana, società di vita apostolica peruviana protagonista dell’evangelizzazione nel paese sin dall’epoca di Giovanni Paolo II, informando che il Papa ha seguito ‘con preoccupazione’ le notizie relative a diversi casi di abusi, anche sessuali, perpetrati dal carismatico fondatore Luis Fernando Figari e da altri maggiorenti del movimento. La Santa Sede aveva già nominato nel 2016 un ‘delegato papale’, il cardinale statunitense Joseph William Tobin, ma non è bastato, e ora ha nominato un vero e proprio commissario, il vescovo colombiano Noel Antonio Londono Buitrago. Come ha ricostruito Francesco Stazzari su Settimana News, il Sodalizio di Vita Cristiana, riconosciuto nel 1997 da Giovanni Paolo II come società di vita apostolica, godeva dell’appoggio ‘del card. Lopez Trujillo e soprattutto dell’arcivescovo di Lima, card. Juan Luis Cipriani Thorne’. Nel corso degli anni i giornalisti Pedro Salinas e Luis Ennrique Escardò portano alla luce numerose denunce di casi. ‘La goccia che fa traboccare il vaso è il caso di German Doig Klinge, il laico considerato da Luis Fernando Figari il ‘delfino’. E’ un uomo elegante, figura atletica, barba, dialettica accattivante, colto in letteratura e scienze giuridiche, formato secondo i canoni di Figari.

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Viene nominato vicario generale del Sodalizio. Muore improvvisamente nel 2001. Ha soltanto quarant’anni e godeva di ottima salute. Si fanno diverse ipotesi: infarto, suicidio, assassinio. E’ certo che sapeva moltissime cose sia della politica dell’allora presidente Fujimori sia dell’apparato ecclesiastico del card. Cipriani. Lo si fa passare per santo e ha inizio la corsa per portarlo sugli altari. Si pubblicano biografie, si stampano immaginette con la sua foto e la preghiera per ottenere grazie con l’approvazione ecclesiastica. Si erigono busti, si fanno collette per sostenere le spese della beatificazione. Ma a dieci anni dalla morte (13 febbraio 2001), il Sodalizio con uno scarno comunicato annuncia che il processo viene interrotto perché si trova che Doig aveva condotto una doppia vita. Era noto il suo comportamento omosessuale’. Figari esce di scena. I problemi continuano. ‘E’ una storia triste, drammatica, inquietante perché coinvolge un buon numero di personalità della gerarchia ecclesiastica peruviana, membri della curia romana, politici di destra, ambienti dell’economia liberista, mass media comperati a suon di denaro e favori’. E, ora, la decisione del Papa di commissariare il sodalizio, a pochi giorni dal suo viaggio in Perù. Il significato più importante del viaggio in Cile e Perù, ha detto il cardinale Pietro Parolin a Alessandro Gisotti di Vatican News, ‘è sempre l’incontro con le Chiese: il papa va da pastore della Chiesa universale per incontrare le chiese locali. Naturalmente Chiese che sono particolarmente vivaci, attive, come in Cile e in Perù, e d’altra parte si trovano ad affrontare numerose sfide di fronte alla realtà del mondo di oggi. Sono tante le sfide, accenno a due in particolare che stanno al cuore al Papa. La prima è la sfida della popolazione indigena, faccio riferimento anche al sinodo sull’Amazzonia convocato dal Papa e si terrà nel 2019: qual è il ruolo e il contributo di queste popolazioni all’interno dei loro paesi, delle loro società. E, tema che il Papa sente forte e vi è tornato anche con parole marcate, quello della corruzione che impedisce lo sviluppo e impedisce il superamento della povertà e della miseria. Credo che sarà davvero un viaggio non semplice ma appassionante’. askanews

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