“Il Cara di Mineo va chiuso”. Ma il centro accoglienza è ancora lì

19 gennaio 2018

Ecco il Cara di Mineo, il centro d’accoglienza per richiedenti asilo più grande d’Europa. Una situazione difficile: migranti che entrano ed escono aggirando i controlli, donne che si prostituiscono, caporalato e l’omicidio, lo scorso primo gennaio, di una giovane nigeriana; è stato arrestato il marito. Una situazione messa nero su bianco dalla commissione parlamentare d’inchiesta sull’accoglienza ai migranti. Carlo Colloca, docente di sociologia del territorio e consulente della Commissione: “Il timore di chi noi noi aveva ispezionato la struttura, parlamentari e consulenti, era che di fatto contribuisse a una sorta di distretto economico della marginalità, con tutta una serie di marginalizzazioni in termini di diritti, per gli ospiti, ma io dico anche di delegittimazione per tutte le persone – autoctoni, forze dell’ordine e chi lavora nella struttura – che è esposto a una situazione a dir poco anomala “. Nel suo rapporto, la commissione scriveva senza appello, all’unanimità: va chiuso nel più breve tempo possibile. Una linea d’indirizzo ad oggi rimasta lettera morta. Intanto i militari sorvegliano la zona ma si è creato a Mineo un microcosmo di illegalità; dal giro di prostituzione che affolla le strade provinciali, ai tassisti abusivi che per pochi euro portano a Catania, al caporalato che sfrutta la manodopera dei migranti nelle coltivazioni della zona. “Gravita intorno all’ex Cara di Mineo una rete di economie legate all’agricoltura, in parte anche all’edilizia, che vista la possibilità di entrare e uscire dal Cara senza particolari problemi, favorisce lo sviluppo di pratiche di caporalato. Sono passati quasi sei mesi anzi qualcosa di più da quando la commissione ha chiesto che fosse chiuso nel più breve tempo possibile. Il Cara è ancora aperto e abbiamo registrato ai primi di gennaio questo omicidio, in virtù di questo entrare e uscire che può avvenire evidentemente con estrema facilità”. Nato nell’ex Residence degli Aranci in provincia di Catania nel 2011, sotto il governo Berlusconi, il centro oggi è un simbolo di tutte le difficoltà dell’accoglienza in Italia, inclusa l’illegalità che si nutre della disperazione.

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