Carrisi dirige “La ragazza nella nebbia”: il film è un sortilegio

24 ottobre 2017

E’ lo scrittore italiano di thriller più tradotto e amato all’estero, dal romanzo d’esordio, “Il suggeritore”, all’ultimo, “Il maestro delle ombre”, non ha sbagliato un colpo, e ora Donato Carrisi esordisce come regista. La versione cinematografica del suo “La ragazza nella nebbia” arriva al cinema il 26 ottobre con degli interpreti straordinari: Toni Servillo, Alessio Boni, Jean Reno, Galatea Ranzi, Michela Cescon. In un piccolo paese di montagna, dove scompare una ragazza, l’agente Vogel cerca di districare un groviglio di segreti facendo leva anche sul circo mediatico che si è scatenato intorno al caso. Tre storie si sviluppano parallelamente per arrivare ad un finale sorprendente. “Io scrivo per immagini, quindi arrivavo sul set e avevo le idee già abbastanza chiare. Questo ha stupito tutti, ma non ha stupito me, perché è il mio modo di fare anche quando scrivo un romanzo” spiega Carrisi. “Si è creato questo clima stranissimo, dove i personaggi si conoscevano poco, gli attori tantissimo, quindi bisognava ricreare una distanza ogni volta che si andava sul set. E poi c’è stato un clima magico, ricita Servillo che interpreta Vogel che dice ‘c’è una parola per descrivere tutto questo: sortilegio’. Ecco, questo film è stato un vero e proprio sortilegio”.

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I riferimenti cinematografici di Carrisi sono evidenti. “Io paragono questo thriller ai grandi thriller degli anni Novanta, che sono quelli che mi hanno segnato e ispirato, che poi si ritrovano in tutti i miei scritti, da ‘Il silenzio degli innocenti’ del ’92, fino ad arrivare a ‘Seven’ e soprattutto a ‘I soliti sospetti’, a cui questo film penso somigli parecchio”. Parallelamente alla linea del racconto Carrisi sottolinea l’ossessiva ricerca di colpevoli, potenziata dai media. Si cerca a tutti i costi un colpevole per esorcizzare la paura, come succede ormai dopo ogni fatto di cronaca nera: “Quando si indaga su un fatto di sangue gli ascolti putacaso schizzano, quando invece comincia la fase processuale, che è quella che dovrebbe concretizzare, cioè portare alla cristallizzazione della giustizia attraverso la sentenza, non gliene frega più niente a nessuno. L’audience risale solamente al momento della sentenza semplicemente perché la gente vuole sapere ‘ma ci ho azzeccato?’. Insomma una specie di lotteria alla fine”.

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