Carrisi: “Scrivo per immagini, regia passaggio obbligato”

Carrisi: “Scrivo per immagini, regia passaggio obbligato”
29 ottobre 2017

Il dado e’ tratto. Da giovedi’ 26 ottobre Donato Carrisi non e’ piu’ solo uno degli scrittori di noir piu’ venduti e amati d’Italia ma e’ anche un regista e autore cinematografico. Ha infatti deciso di portare sullo schermo, dirigendolo, un film tratto dal suo best-seller ‘La ragazza nella nebbia’ (Edizioni Longanesi). Un film di genere, classico, dal sapore quasi antico dove non c’e’ sangue, non ci sono pistole e neppure cadaveri. La pellicola, prodotta da Colorado e distribuita da Medusa, e’ ora in 400 sale dopo l’anteprima mondiale del 25 ottobre all’Auditorium Parco della Musica. Per Carrisi un debutto impegnativo visto che ha diretto all’esordio mostri sacri come Toni Servillo e Jean Reno o attori navigati e importanti come Alessio Boni, Lorenzo Richelmy o Galatea Ranzi. Carrisi non e’ il primo scrittore a fare il salto dietro la macchina da presa. Per questo sorge spontanea la domanda: cosa spinge un autore di best-seller a diventare regista: mancanza di fiducia negli altri, vanita’ o voglia di provare il brivido della sfida? “In realta’ non sono un esordiente assoluto – spiega Donato Carrisi -. Sono arrivato a Roma nel 1999 per fare lo sceneggiatore. La prima cosa che hanno fatto e’ stata di sbattermi su un set. Pensavano che fossi il ragazzo delle pizze e i caffe’. Per tre giorni c’e’ stato questo equivoco, poi mi hanno messo su una sedia accanto al regista. Per me, pero’, quella e’ stata la vera anomalia – aggiunge – perche’ uno sceneggiatore deve portare le pizze e i caffe’ per capire i meccanismi del set. Io li ho frequentati tantissimo e la mia scrittura ne ha beneficiato: io scrivo per immagini, e’ come se avessi non la penna ma la macchina da presa. Il complimento che mi gratifica di piu’ – conclude – e’ quando mi dicono che leggere un mio libro e’ come guardare un film. Complimento che e’ stato migliorato anni fa da un giovanissimo lettore che ha detto che i miei libri sono in 3D”. Un passaggio quasi obbligato, dunque? “Direi di si’ – conviene Carrisi -. Comunque mi tengo stretto il termine esordiente e mi piace pensare che ho perso la verginita’ con Toni Servillo, Jean Reno e Alessio Boni. Megjio di cosi’?”. A parte il desiderio di compiere un passaggio che ritiene naturale, c’e’ anche il timore di lasciare la propria creatura a un estraneo che potrebbe non volerle troppo bene? Su questo punto Carrisi preferisce fare un percorso un po’ tortuoso per arrivare poi a dare una risposta affermativa.

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“Io conosco e sono amico da anni di Jeffrey Dever, uno scrittore che ha creato un personaggio iconico nel libro ‘Il collezionista di ossa’ da cui nel 1999 Phillip Noyce ha diretto un film. Con i miei amici – continua – ci siamo sempre chiesti perche’ dopo quel film non e’ stato piu’ fatto nulla dai suoi libri. La risposta che ci siamo dati e’ che probabilmente e’ stato esaurito il potenziale immaginifico di quel personaggio che non e’ stato curato in maniera adeguata”. Poi, comunque, confessa: “Ho sempre tenuto i dritti dei miei romanzi perche’ e’ facile tradire un libro”. Ad onor del vero, confessa, con il suo primo fortunatissimo libro, ‘Il suggeritore’, era quasi fatta per la vendita dei diritti a Ridley Scott. Poi non se ne fece niente. Per uno scrittore amatissimo dal suo pubblico potrebbe esserci il rischio offrire ai suoi fan, una volta passati dietro la macchina da presa, un prodotto diverso da quello che si aspettano e che hanno amato. Ma di questo Carrisi non ha paura. “I miei lettori non resteranno delusi perche’ libro e film sono due creature diverse accomunate solo dal fatto di essere entrambe malvage. Inoltre – aggiunge – ho ammazzato l’autore del libro il primo giorno di riprese…”. E, a sostegno di questa tesi, spiega che i personaggi, rispetto al romanzo ‘La ragazza nella nebbia’, sono diversi. “Sono altra cosa rispetto al romanzo – spiega – perche’ questo non e’ un film d’autore, ma un film di autori. Nel senso che ognuno ha portato il suo contributo personale: dalla costumista al fonico al direttore della fotografia. Agli attori, ovviamente”.

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E proprio questi ultimi, rivela Carrisi, sono stati determinanti per la caratterizzazione dei personaggi. “Quando ho raccontato come doveva essere il professor Martini ad Alessio Boni – spiega – era molto imperfetto. Quando lo ha portato sul set, era cambiato, aveva una nuova fisionomia. E lo stesso vale per Toni Servillo: malgrado abbia scritto l’agente Vogel pensando a lui, arrivato sul set quel personaggio e’ diventato un altro”. Cosa ha imparato negli anni sul set e cosa ha portato nel suo film? “Ho imparato che la prima regola di un regista, come quella di uno scrittore, e’ copiare. Per questo – aggiunge – ho pescato nei noir anni ’70 con Gian Maria Volonte’ ma anche a quelli degli anni ’90 come ‘Il silenzio degli innocenti’, ‘Seven’, i film di Luc Besson fino a ‘I soliti sospetti’. Per riecheggiare quel mondo ho usato un obiettivo particolare, musica orchestrale e non elettronica, immagini televisive disturbate analogiche. Sono elementi che ovviamente nel libro non c’erano”. Per far entrare i suoi attori nella parte ha usato qualche espediente? “Ho detto loro di dimenticare da dove venivano – racconta -. Poi, in camerino, gli ho fatto trovare un finto depliant turistico del paese immaginario in cui si ambienta la vicenda, con tanto di saluto del sindaco. Un modo per fargli capire che entravano in una dimensione fiabesca. Volevo un microcosmo da cui non si puo’ fuggire – aggiunge – in cui riecheggia l’urlo di una ragazza dai capelli rossi”. Ora che il film e’ in sala, c’e’ una cosa su tutte che vorrebbe che si dicesse della ‘Ragazza nella nebbia’? La risposta di Donato Carrisi e’ originale e molto acuta: “Vorrei che si dicesse che questo e’ un film che ha un finale perche’ quelli senza finale ce li scordiamo subito”.

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