Catalogna, indagati 700 sindaci pro-referendum. Rischiano l’arresto

Catalogna, indagati 700 sindaci pro-referendum. Rischiano l’arresto
14 settembre 2017

Sono oltre 700 i sindaci catalani che finiranno sotto inchiesta e rischiano l’arresto per il loro appoggio al referendum sull’indipendenza catalana, indetto per il prossimo 1 ottobre e bollato come illegale da Madrid. La procura generale spagnola ha inviato una circolare a tutte le procure locali catalane chiedendo loro di convocare i sindaci pro-referendum per interrogarli in qualità di indagati e di disporne l’arresto se non si presenteranno. Oggi i separatisti catalani daranno il via ufficiale alla campagna referendaria per l’indipendenza nel porto sul Mediterraneo di Tarragona. Il governo indipendentista della regione autonoma ha chiesto ai 948 sindaci catalani di fornire le strutture per i seggi referendari. Finora 712 comuni hanno accettato di partecipare, secondo l’elenco pubblicato sul sito dell’Associazione municipale della Catalogna per l’indipendenza, che rappresenta 750 comuni. La richiesta delle procura generale arriva dopo che martedì la magistratura ha ordinato alla polizia regionale catalana di sequestrare le urne elettorali, i volantini e tutto il materiale che potrebbe essere usato per il referendum. Sempre i magistrati hanno presentato un reclamo ufficiale al presidente catalano Carles Puigdemont e al suo governo in relazione al progetto referendario, accusandoli di disobbedienza civile e malversazione, un reato quest’ultimo che comporta una pena fino a otto anni di carcere. Il governo spagnolo del premier conservatore Mariano Rajoy ha promesso di fare quanto in suo potere per impedire il referendum: sostiene che la Costituzione spagnola del 1978 vieta ai governi regionali di tenere consultazioni sull’indipendenza.

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Ieri Rajoy ha invitato i catalani a boicottare il voto. “Se qualcuno vi sollecita ad andare al seggio, non andate, perché il referendum non può essere tenuto, sarebbe un atto assolutamente illegale” ha detto. La corte costituzionale spagnola ha sospeso la legge per l’organizzazione della consultazione all’esame del parlamento catalano la scorsa settimana, ma il governo di Barcellona ha detto che andrà avanti comunque sul voto. Le autorità catalane solitamente ignorano le decisioni della corte, che non riconoscono. Nella sua prima presa di posizione pubblica da quando il governo catalano ha varato il decreto che indice il referendum, il re di Spagna Felipe VI ha detto che i diritti di tutti gli spagnoli verranno difesi contro “chiunque si pone al di fuori della costituzione e della legge”. La Catalogna, grande più o meno quanto il Belgio, conta per circa un quinto del pil spagnolo e ha già un’autonomia notevole in settori quali istruzione e sanità. Ma i guai economici della Spagna, uniti alla percezione che la regione paghi più tasse di quanto riceva in investimenti e trasferimenti da Madrid, hanno contribuito a portare la causa secessionista dall’ombra al centro della scena politica catalana. Lunedì centinaia di migliaia di catalani hanno sfilato a Barcellona per la loro giornata nazionale, chiedendo l’indipendenza dal Madrid e il diritto a votare al referendum. I sondaggi mostrano che i catalani sono spaccati esattamente a metà sull’indipendenza, ma il 70% ritiene che il referendum vada comunque tenuto per chiarire la questione, come è avvenuto in Scozia nel 2014.

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