Colpito il clan “Fragalà”, arresti a Roma e a Catania

Colpito il clan “Fragalà”, arresti a Roma e a Catania
4 giugno 2019

Associazione a delinquere di tipo mafioso, ed i reati – aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose – di estorsione, danneggiamento seguito da incendio, detenzione e porto abusivo di armi, traffico di stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori e favoreggiamento personale. Queste le accuse per cui oggi i carabinieri del Ros hanno eseguito, nelle province di Roma e Catania, un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip di Roma che ha portato a 31 arresti (28 in carcere e 3 ai domiciliari). I provvedimenti sono frutto di indagini coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia della Capitale e del Ros, che tra il 2014 e il 2017, hanno svelato l’esistenza di un sodalizio mafioso, il cosiddetto clan Fragalà, composto prevalentemente da membri dell’omonimo nucleo familiare di origini catanesi, ma da anni trapiantato in provincia di Roma, la cui operatività criminale era estesa al quadrante sud dell’area metropolitana ed in particolare ai comuni di Pomezia, Torvaianica e Ardea.

Le indagini, basate anche dai riscontri alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, hanno consentito di ricostruire l’organigramma del gruppo. Al vertice Alessandro Fragalà, 61 anni; poi il nipote Salvatore Fragalà, 41: e Santo D’Agata, 61 anni. Loro tre, secondo inquirenti, erano i soggetti con funzioni direttive, in costante contatto con gli ambienti mafiosi catanesi sia per la gestione dei traffici illeciti, sia per il reclutamento di manodopera criminale per lo svolgimento dei ‘lavori’ in territorio laziale. Un ruolo di rilievo – si sottolinea – lo aveva anche Astrid Fragalà, 40 anni, figlia di Alessandro, elemento di cerniera tra il padre e la vita pubblica pometina, con il compito di curare le relazioni e i contatti con esponenti delle professioni, della pubblica amministrazione e della politica locale, anche in ragione del suo percorso professionale e nell’associazionismo di categoria, finalizzati ad infiltrare e condizionare la vita politica e la pubblica amministrazione della città lungo la Pontina.

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Altra figura di centrale importanza investigativa si è rivelata quella di uno storico pregiudicato di origini palermitane legato a “Cosa nostra”, già uomo di fiducia a Roma del boss Pippo Calò, ovvero Francesco D’Agati, 83 anni, destinatario del provvedimento cautelare in esame per il reato di concorso esterno nell’associazione mafiosa facente capo al clan Fragalà. D’Agati – si aggiunge – era pienamente inserito nelle dinamiche mafiose del territorio romano, dove risiede stabilmente da anni. Ritenuto capace di mantenere relazioni di elevato livello anche al di fuori degli ambienti criminali. D’Agati è emerso per autorevolezza e prestigio mafioso, intervenendo a tutela e in rappresentanza degli interessi del clan Fragalà nell’ambito delle controversie con altre organizzazioni criminali operanti nella capitale, fornendo così un importante contributo alla conservazione e al rafforzamento del clan.

Relativamente alle attività illecite perpetrate dal sodalizio, sono stati documentati: consistenti traffici di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana e hashish, individuando i canali di approvvigionamento (Colombia e Spagna) e le relazioni funzionali allo sviluppo di tali interessi criminali. Con una componente del clan dei Casalesi, ad esempio. Nel corso del biennio 2014-2016, le due strutture mafiose sono arrivate a federarsi, elaborando obiettivi comuni e condividendo risorse economiche ed armi. Nell’inchiesta del Ros ci sono poi anche soggetti riconducibili ai clan Santapaola e Cappello di Catania. Con diversi episodi estorsivi, attuati con metodo mafioso, nei confronti di imprenditori locali anche sotto forma di “recupero crediti”, nonché approvvigionamenti di armi clandestine e di materiali esplodenti per il compimento di attentati/danneggiamenti a scopo intimidatorio.

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Le dinamiche associative, riguardanti i rapporti tra le diverse organizzazioni mafiose operanti nella Capitale, finalizzate a comporre i dissidi secondo un sistema condiviso di valori e principi mafiosi, in funzione di un comune interesse al mantenimento di rapporti pacifici per esigenze di autoconservazione. Nel corso delle indagini è stato sventato, poche ore dopo, il sequestro di Ignazio Fragalà. Il fatto è avvenuto a Torvaianica il 03.03.2016 ed il movente era connesso ad una controversia sorta in merito al pagamento di una partita di stupefacenti tra il clan Fragalà ed esponenti del clan Cappello di Catania.

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