Conte tenta da Bruxelles pace “tecnica” fra Salvini e Di Maio

Conte tenta da Bruxelles pace “tecnica” fra Salvini e Di Maio
Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini
19 ottobre 2018

Superato il momento di massima tensione interna al Governo, Giuseppe Conte prova da Bruxelles, alla fine della tre giorni del Consiglio e del vertice Europa-Asia, a rendere visibile una via d’uscita onorevole a Lega e 5 stelle. I due partiti che lo hanno scelto come leader governativo, nonostante la convocazione del Consiglio dei ministri per le 13 di domani alla fine accettata anche da Matteo Salvini, hanno continuato anche oggi indirizzarsi strali polemici e avvertimenti dalle rispettive trincee. “L’accordo politico – dice il presidente del Consiglio – è ben chiaro, se c’è un problema sulla traduzione tecnica, può capitare, addirittura spesso anche in passato, a volte si fa l’accordo politico e si rimanda a dopo le traduzioni tecniche”.

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Poco più di un disguido, insomma, è stato, nella ricostruzione del premier, a causa di uno scontro fra i due partner della maggioranza che ha indebolito la figura del premier nei delicati giorni della missione europea e ha messo seriamente a repentaglio l’esistenza stessa del Governo. Palazzo Chigi prova a rafforzare la versione del premier con una puntigliosa nota ufficiale per spiegare che la norma sul condono che ha causato la spaccatura della maggioranza non è stata verbalizzata in Consiglio dei ministri perché era giunta a riunione in corso e andava verificata. Seppure attribuita anch’essa a un banale disguido, l’assenza di Conte alla photo opportunity con i leader europei e asiatici a fine vertice Asem testimonia di un’altra giornata complicata, segnata da nuove esternazioni dei suoi due incontenibili vicepremier nonché capi dei due partiti gialloverdi, Di Maio e Salvini e punteggiata di telefonate con l’Italia.

Conte minimizza la quasi crisi: “Il confronto, che a tratti può essere anche acceso, tra le forze della maggioranza non intacca il buon lavoro che stiamo facendo”. I suoi fanno filtrare una mezza smentita del vertice a tre Conte-Salvini-Di Maio, anche se, dicono a palazzo Chigi, “è nelle cose che si vedano prima del Cdm”. Il lavoro preparatorio sul testo contestato lo svolgerà il capo del Governo, anche perché il decreto fiscale non è certo la sola preoccupazione del Governo. C’è da rispondere alla richiesta di chiarimenti recapitata dalla Commissione Ue: “Non c’è motivo di cambiare (la manovra, ndr), l’ho già detto. Quella lettera che qualcuno ha giudicato una definitiva bocciatura – sostiene Conte, che nega l’esistenza di una ‘deviazione grave’ nelle previsioni sul deficit – è l’inizio di un percorso. Noi risponderemo lunedì, loro delibereranno successivamente e ci confronteremo”.

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La strategia comunicativa di palazzo Chigi resta quella di attenuare l’allarme per lo scontro con l’Europa, dove “non c’è la volontà di mettere in difficoltà l’Italia”, dice lo staff di Conte e lo dimostra anche il fatto che all’eurosummit di giovedì a ora di pranzo “non è stato puntato il dito contro l’Italia”. La foto notturna della bevuta in hotel con Macron, Merkel e altri leader europei è servita a correggere l’immagine di un Conte isolato anche umanamente, e sul bilaterale con il presidente francese Emmanuel Macron le fonti governative negano sia stato sbrigativo, come qualcuno ha scritto. “E’ durato una quarantina di minuti”. Tuttavia, nulla si sa delle intenzioni dell’Eliseo sulla conferenza di Palermo per la Libia, un pilastro della strategia di Roma sul Mediterraneo, cui Merkel invece ha promesso di presenziare.

E il bilancio della missione a Bruxelles, stavolta, non comprende nessuna notizia significativa sull’immigrazione (l’altro tema del Consiglio era la Brexit), su cui pure a giugno si erano vantati risultati epocali per l’Italia, che ancora faticano a essere messi in pratica nella politica europea. L’ultimo appuntamento subito prima del decollo Conte lo dedica al bilaterale con il primo ministro cinese Li Keqiang: a parte scambi commerciali e investimenti industriali, la potenza finanziaria di Pechino resta pur sempre, almeno in teoria, un potenziale mercato per collocare titoli pubblici in funzione antispread. Anche se, ufficialmente, le fonti italiane non lo ammettono: ma in prospettiva, un salvagente orientale potrebbe diventare la migliore assicurazione sulla vita per il traballante esecutivo gialloverde.

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