Contratti a termine soprattutto al Sud ma meno che in eurozona

Contratti a termine soprattutto al Sud ma meno che in eurozona
4 agosto 2018

I dati provvisori relativi alla media del primo semestre di quest’anno indicano una crescita del peso degli occupati a tempo determinato, che hanno raggiunto il 16,6 per cento sul totale degli occupati dipendenti. In termini assoluti, si tratta di 2.964.000 unità. Al contrario, gli occupati a tempo indeterminato sono in flessione. Nel 2017, invece, la media degli occupati con un contratto a termine è stata pari a 2 milioni e 772mila unità, il 15,4 per cento.

Al Sud la quota maggiore, il 19,3 per cento, contro il 14,8 per cento del Centro e il 13,7 per cento del Nord. A livello regionale la soglia più significativa è in Calabria (21,8 per cento), in Sicilia (21,3 per cento) e in Puglia (20,7 per cento). Il Piemonte (12,8 per cento) e la Lombardia (11,3 per cento) sono i territori meno interessati da questa problematica, anche se, in termini assoluti, la regione con il maggior numero di lavoratori con un contratto a termine è la Lombardia (394.200). I settori con le quote più elevate di precari sono quelli dove è maggiore la stagionalità. In agricoltura, ad esempio, la percentuale è pari al 60,5 per cento e nel commercio e negli alberghi/ristoranti è al 22,5 per cento.

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Significativa anche l’incidenza nel settore delle costruzioni (16,6 per cento) e nei servizi alla persona/imprese (12,3 per cento). Chiude il comparto dell’industria/artigianato, con l’11,8 per cento. La fascia di età dove la presenza di lavoratori flessibili è maggiore è quella giovanile (15-34 anni), il 34,1 per cento. In quella tra i 35-64 anni è il 9,6 per cento e tra gli over 65 è il 7,8 per cento, ma in termini assoluti, ovviamente, è la fascia anagrafica tra i 35 e i 64 a registrare il maggior numero: 1.272.200 unità.Analizzando il dato relativo al flusso di ingresso dei lavoratori dipendenti nel mercato del lavoro, oggi l’80 per cento circa viene assunto con un contratto a termine.

I dati sono però meno preoccupanti guardando all’incidenza dei lavoratori flessibili sullo stock complessivo degli occupati presenti nel nostro Paese. Nel 2017 la quota si è attestata al 15,4 per cento, quasi 1 punto in meno della media dell’area euro (16,2 per cento) e ben al di sotto del dato registrato in Francia (18 per cento), nei Paesi Bassi (21,8 per cento) e in Spagna (26,6 per cento). Tra i principali Paesi europei, solo la Germania presenta un’incidenza inferiore a quella italiana, con il 12,8 per cento.

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