Corruzione, ancora guai per giudice Russo. Perquisizioni anche a imprenditori

Corruzione, ancora guai per giudice Russo. Perquisizioni anche a imprenditori
Il magistrato del Consiglio di Stato, Nicola Russo
23 ottobre 2017

Ancora guai giudiziari per il magistrato del Consiglio di Stato Nicola Russo, gia’ indagato dalla Procura di Roma per violazione del segreto d’ufficio in una vicenda che aveva portato in primo grado alla condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione del’immobiliarista Stefano Ricucci, per emissione ed utilizzo di false fatture per operazioni inesistenti pari a 1,3 milioni di euro. Stavolta Russo e’ stato oggetto di una perquisizione effettuata dai militari del Gico nell’ambito di una inchiesta che lo chiama in causa per concorso in corruzione in atti giudiziari con due imprenditori (anche loro perquisiti) Ezio Bigotti del gruppo Sti e Sergio Giglio di Antas srl. Al centro dell’inchiesta della Procura di Roma il pagamento di tangenti per pilotare un arbitrato contando sulla presenza in commissione dell’avvocato Orazio Russo (padre di Nicola) nella veste di presidente. Tra gli indagati figura anche l’avvocato Piero Amara. Il procedimento, coordinato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, e’ seguito dai pm Luca Tescaroli, Giuseppe Cascini e Stefano Rocco Fava. Nicola Russo e’ il giudice relatore ed estensore della sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, secondo chi indaga, ribaltando la decisione di primo grado, diede ragione nell’aprile del 2015 alla Magiste Real Estate Property, societa’ riconducibile a Ricucci, nella controversia che la opponeva all’Agenzia delle Entrate. Per i pm di piazzale Clodio, Russo non ha esitato a favorire Ricucci in un affare da 20 milioni di euro rivelandogli anticipatamente il contenuto di una sentenza, nonostante un intenso rapporto di amicizie a frequentazione con l’immobiliarista che era parte interessata alla causa stessa. Il provvedimento favorevole avrebbe poi consentito a Ricucci di incassare un indebito profitto patrimoniale e cioe’ una plusvalenza pari a 19 milioni di euro, considerato che l’immobiliarista aveva speso un milione per riacquistare dalla procedura concorsuale un credito Iva da 20 milioni, detenuto a sua volta a titolo di garanzia da un istituto di credito tedesco.

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