Cosa c’è da sapere sul film “The Mountain” di Rick Alverson

Cosa c’è da sapere sul film “The Mountain” di Rick Alverson
Jeff Goldblum
31 agosto 2018

Nell’America del 1954 il dottor Wallace Fiennes compie esperimenti di lobotomia, il personaggio si ispira a Walter Freeman che effettuò la lobotomia su Rosemary Kennedy, sorella del futuro presidente degli Stati Uniti, Jfk.

Con una fotografia suggestiva e una tecnica originale “The Mountain” di Rick Alverson – film in concorso alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia – porta a riflettere sulla “utopia” portata alle estreme conseguenze di poter cambiare i cosiddetti “difetti” dell’essere umano spegnendo il cervello chirurgicamente; come è stato spiegato in conferenza stampa dallo stesso regista Alverson e dal cast del film capitanato da Jeff Goldblum che interpreta Wallace Fiennes, Tye Sheridan un giovane fotografo che diventerà allievo del medico e da Hannah Gross una paziente lobotomizzata che anticipa le tematiche New Age.

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Jeff Goldblum ha definito il film “geniale e poetico” e ha spiegato di averlo amato perché rappresenta, in un certo senso, “l’idea dell’utopia americana che spazia in assurde fantasie compiendo incredibili errori nella medicina come è avvenuto con la lobotomia, cercando soluzioni innaturali per risolvere i problemi dell’essere umano”. Il regista Rick Alverson, che nel suo film ha portato delle innovazioni anche di carattere tecnico, ha spiegato come la figura del dottor Fiennes sia ispirata appunto a quella di Walter Freeman “fautore della lobotomia, il quale trovò il modo per fare questo intervento senza avere una reale competenza nel 1954. Successivamente a quel periodo questa sua soluzione venne messa da parte preferendo l’utilizzo dei farmaci. A mio parere – ha proseguito – questa vicenda è anche metafora dell’ambizione molto maschile e americana di questo medico di ottenere dei risultati senza preoccuparsi delle conseguenze che la lobotomia poteva avere sulle persone”.

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E il lavoro di documentazione anche da parte degli attori è stato accurato, come ha ricordato Goldblum. “Non conoscevo Freeman – ha continuato l’attore – ma ho visto il documentario, volevo saperne il più possibile sulla lobotomia. Freeman aveva un nonno che era un chirurgo molto famoso e lui voleva a sua volta crearsi una sua identità perfezionando questo tipo di intervento, appunto la lobotomia. Ha pensato anche di curare l’omosessualità o curare le donne che soffrivano di nervi e ha praticato la lobotomia perfino sui bambini”. Anche Hannah Gross, che nel film interpreta Susan, una paziente lobotomizzata, ha ricordato quanto avvenuto alla sorella di John Kennedy: “Il mio personaggio fatalmente accettava la procedura, non aveva una volontà di morte bensì voleva esiste su un piano diverso”.

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Il film di Anderson affronta il delicato tema della malattia mentale, dei manicomi, di luoghi estremamente dolorosi come erano i nosocomi degli anni ’50. Tye Sheridan interpreta un ragazzo che incontra il medico dopo la lobotomia di sua madre, fa la scelta di divenire allievo e viene ingaggiato dal medico per documentare da fotografo la sua attività. Sheridan ha spiegato di avere già lavorato con Alverson “ne ammiro il coraggio a fare film come questi che non è facile da capire. Credo che in questo film la lobotomia rappresenti l’ambizione esagerata della chirurgia di poter aggiustare le persone intervenendo sul cervello. La pretesa assurda di guarire omosessuali e patologie mentali e, purtroppo, questa era una pratica utilizzata in quel periodo in America”.

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