Crisi nucleare tra Usa e Corea, la moral suasion del Papa

Crisi nucleare tra Usa e Corea, la moral suasion del Papa
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Papa Francesco, e il dittatore nordcoreano, Kim Jong-un
31 ottobre 2017

Se il portavoce vaticano è intervenuto per smentire seccamente una ‘mediazione’ del Papa tra Donald Trump e Kim Jong-un è perché in diplomazia le sfumature non sono un dettaglio. E tra la moral suasion di Francesco e una vera e propria mediazione la differenza è sostanziosa. In materia la Santa Sede ha una certa esperienza, anche recente. La diplomazia vaticana, e il Papa argentino in persona, hanno svolto una vera e propria opera di mediazione quando gli Stati Uniti e Cuba hanno concordato il riavvio delle relazioni bilaterali dopo oltre mezzo secolo. Ma in quel caso entrambi i protagonisti della svolta, Barack Obama e Raul Castro, avevano cercato l’intervento di un ‘honest broker’ autorevole come Jorge Mario Bergoglio perché in sua assenza la reciproca diffidenza avrebbe prevalso sul desiderio comune di archiviare la guerra fredda. Così, sebbene dietro le quinte, il Pontefice latino-americano non ha mai fatto mancare il suo sostegno al processo di pace colombiano, tanto da essere salutato con pari deferenza tanto dal presidente Juan Manuel Santos quanto dal leader delle guerriglie rivoluzionarie Rodrigo Londono, nome di battaglia Timochenko. Ben diverso è stato il ruolo svolto dalla Santa Sede in Venezuela, dove la presenza di un diplomatico vaticano al tavolo aperto tra governo Maduro e opposizioni – mai definita ‘mediazione’ né pubblicamente né riservatamente dagli uomini della Segreteria di Stato – non ha potuto far altro che prendere atto, piuttosto velocemente, della mancanza di volontà di entrambe le parti a superare il conflitto. Se la Santa Sede con Jorge Mario Bergoglio è tornata a pesare negli scenari geopolitici mondiali, il Papa stesso non ha mai ignorato che ciò che può offrire la sua personale credibilità, nonché la rete diplomatica vaticana, è un servizio al dialogo flessibile, ma fragile. Che dipende in definitiva dal desiderio dei protagonisti di sedersi allo stesso tavolo per parlare. E che, per questo, devono prendersi le proprie responsabilità.

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Quando Papa Francesco offrì a Mahmud Abbas (Abu Mazen) e Simon Peres i giardini vaticani come luogo per una invocazione congiunta della pace, sapeva che altri protagonisti avrebbero potuto facilmente guastare l’esile fiducia che i due presidenti stavano costruendo tra israelieni e palestinesi. Quando nel 2013 scrisse a Vladimir Putin alla vigilia di un paventato intervento militare statunitense in Siria, face appello affinché venisse abbandonata ‘ogni vana pretesa di una soluzione militare’, non senza notare che troppi interessi avevano sino ad allora impedito di ‘trovare una soluzione che evitasse l`inutile massacro a cui stiamo assistendo’. Francesco ha rinunciato a malincuore a visitare insieme al primate anglicano Justin Welby il Sud Sudan, consapevole che le parti in guerra non sono pronte neppure ad una tregua. E se nelle ultime settimane tanto da Madrid quanto da Barcellona sono stati pressanti e ripetuti gli appelli al Papa affinché prendesse pubblica posizione, o almeno mediasse, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin gli ha fatto scudo rimandando alle dichiarazioni rilasciate dai vescovi locali. Non perde occasione di ricordare la crisi ecologica globale, criticando apertamente quei paesi che, come gli Stati Uniti, ‘si sono allontanati’ dall’accordo sul clima di Parigi, e promuovendo da giovedì a sabato un convegno alla Casina Pio IV sui cambiamenti climatici (tra gli oratori, Jeffrey Sachs, ex consulente del democratico statunitense Bernie Sanders, e il professore cinese Liu Qiyong). Ma più di questo non può fare. Papa Francesco è mosso da profondi ideali, ma non manca di realismo. Non rinuncia a visitare luoghi segnati dalle ferite storiche, da Sarajevo alla Repubblica centrafricana, dal Messico al Myanmar, dove si recherà a fine mese, in quella che il gesuita Antonio Spadaro ha definito ‘geopolitica della misericordia’, ma è consapevole di doversi limitare alla profezia dove la politica non è pronta a fare un passo avanti. A chi gli domandava della crisi coreana, di ritorno dal viaggio in Colombia, il Papa ha risposto citando l’Antico Testamento (‘L’uomo è uno stupido, è un testardo che non vede’), e poi, quasi schermendosi, si è limitato a dire che ‘lì c’è una lotta di interessi che mi sfuggono, non posso spiegare davvero’.

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La sua attenzione, in realtà, è massima. In una recente intervista di una decina di giorni fa alla Civiltà cattolica, Hyginus Kim Hee-Joong, arcivescovo cattolico di Gwangju e presidente della Conferenza episcopale coreana, ha raccontato di essere stato inviato in Vaticano a maggio dal nuovo presidente della Repubblica coreana, Moon Jae-in, subito dopo la sua elezione, con l’incarico di consegnare al Pontefice una lettera personale: ‘In quel momento c’era la minaccia di guerra nella Penisola coreana a causa del conflitto tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord. Il nuovo presidente della Corea del Sud voleva spiegare la sua posizione per la pace della Penisola coreana e chiedere la preghiera e l’aiuto di Papa Francesco, prima che egli desse udienza al presidente Trump (udienza concessa il 24 maggio, ndr). Penso che la mia missione sia stata positiva, grazie anche all’aiuto del Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. Il nuovo presidente, Moon Jae-in, il cui nome di battesimo è ‘Timoteo’ ha ringraziato il Pontefice e tutti coloro che ci hanno aiutato’. Più in generale, affermava il presule, ‘i lanci dimostrativi di missili costituiscono un messaggio forte, quello di essere disposti a dialogare con gli Stati Uniti, ma solo su un piano di parità. Alcuni chiedono come condizione per entrare in dialogo con la Corea del Nord che essa previamente rinunci agli esperimenti nucleari. Ma non è forse questa una logica sbagliata? Che la Corea del Nord rinunci agli esperimenti nucleari non costituisce forse esattamente lo scopo del dialogo stesso? Fino ad oggi ci sono stati diversi dialoghi tra Corea del Nord e Usa, tra Corea del Sud e Corea del Nord, però non hanno prodotto frutti definitivi. Perché? Molti coreani – spiegava mons. Hyginus Kim Hee-Joong – pensano che tutte le superpotenze coinvolte stiano usando questa tensione con la Corea del Nord per i loro interessi nazionali.

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Si dice che alcuni Paesi stiano ottenendo grossi guadagni, proprio strumentalizzando e prolungando questa tensione nella penisola coreana’. Su questo sfondo il Papa darà il benvenuto ad un convegno sul disarmo, e in particolare il disarmo nucleare, organizzato dal dicastero vaticano per la Promozione dello sviluppo umano integrale il 10 e 11 novembre. E’ attesa la partecipazione del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, dell’alto rappresentante per gli affari esteri dell’Ue Federica Mogherini, e di numerosi premi Nobel per la pace. La posizione del Papa è nota e solo lo scorso settembre l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, ha firmato a settembre il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, adottato il 7 luglio 2017 al termine della Conferenza delle Nazioni Unite. Ma il congresso vaticano ‘non è una mediazione’ tra Stati Uniti e Corea del nord, si è affrettato a precisare il direttore della sala stampa vaticana Greg Burke smentendo ricostruzioni di stampa semlicistiche, bensì un ‘convegno di alto livello’: ‘Il Santo Padre lavora con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari, come lui stesso ha ribadito lo scorso mese di marzo in un messaggio indirizzato all’ONU riunita a tale scopo. Proprio per questo ci sarà un importante convegno la prossima settimana, ‘Perspectives for a World Free from Nuclear Weapons and for Integral Development’, organizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Ma è falso parlare di una mediazione da parte della Santa Sede’. Che sarebbe possibile solo se Pyongyang e Washington abbandonassero le minacce di guerra.

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