Cuffaro: “Dell’Utri? Lo capisco. Non mi hanno permesso di vedere mia madre”

Cuffaro: “Dell’Utri? Lo capisco. Non mi hanno permesso di vedere mia madre”
L'ex governatore, Totò Cuffaro
11 dicembre 2017

Conosce bene la situazione delle carceri. E soprattutto da detenuto per mafia: quattro anni e undici mesi dietro le sbarre di Rebibbia. “Tutti i decreti svuota carceri sono stati una presa in giro”, continua a ripetere Totò Cuffaro – ha lasciato il carcere romano il 13 dicembre 2015 – perché, “il sovraffollamento non è mai finito”. L’ex governatore della Sicilia, da circa due anni, mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’annosa situazione delle carceri per la quale l’Italia ha subito più volte bacchettate da vari organismi internazionali. Ma, a ora, nulla, o quasi, è cambiato.

Cuffaro, perché la politica sembra impotente nel migliorare la realtà carceraria.

“I politici si occupano di ciò che porta consensi. Fare delle leggi a favore dei detenuti non porta consenso. Quindi, l’atteggiamento va spostato sull’opinione pubblica. Ricordare che in carcere ci sono persone sì che hanno sbagliato, ma che devono essere rispettate, rispettando le loro storie, la loro famiglia e la loro dignità. Solo così e se ci facciamo parte di sensibilizzare l’opinione pubblica, quando il grido degli italiani sarà ‘rispettiamo i carcerati’ allora la politica si occuperà delle carceri”.

E la magistratura?

“Certo, i magistrati non sono ‘cuor di leone’, come non lo sono stati con me. Non fanno lo sforzo di interpretare il principio costituzionale, secondo il quale la pena non è punitiva ma rieducativa e risocializzante. Cosa c’è di rieducativo e risocializzante nello stato in cui si trova l’ex senatore Marcello Dell’Utri al quale non gli consentono di curarsi adeguatamente, e quando non gli consentono di poter usufruire dell’amore della propria famiglia che è la prima cura. Cosa, fra l’altro, che noi stessi, come Paese, abbiamo sostenuto quando siamo andati all’Alta corte del Kerela, ovvero, che la prima cura per il nostro marò era l’amore della famiglia. E la stessa Corte indiana ci ha dato ragione, consentendo il rimpatrio del militare. Quindi, se questo principio l’abbiamo sostenuto davanti all’Alta corte del Kerela e anche la Corte internazionale di giustizia dell’Aja, perché non debba valere quando questo principio va applicato nelle nostre carceri. Sto parlando soprattutto di migliaia di extracomunitari che vivono nelle carceri italiani in condizioni pietose, anche per motivi di salute e di cui nessuno parla. Ricordo con dolore casi di reclusi, quando ero a Rebibbia, colpiti da linfoma di Hodgkin e continuavano a stare in carcere, sapendo che se questo tumore si acutizza non lo prendi più”.

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E qui subentra la discrezionalità…

“Tutta la giustizia è fatta di discrezionalità. E su questo penso che ci sia da fare un trattato. Tra l’altro, nel caso specifico di Dell’Utri, gli stessi medici del carcere hanno detto che Dell’Utri venisse curato a casa. Quindi, tutte le giustizie ruotano a una discrezionalità. In sostanza, il giudice applica la legge, ma la applica secondo cui lui ritiene giusto applicarla”.

Clamoroso il suo caso da recluso quando il giudice gli ha impedito di vedere sua mamma affetta da demenza senile.

“Il giudice ha ritenuto che io non sarei entrato in una comunione di relazione con mia madre. Può mai un figlio non entrare in una relazione di comunione con sua madre? Eppure i magistrati hanno scritto queste motivazioni per non farmela vedere. Anche quello che si scrive deve avere una ragione. Se si pensa che Ugo Foscolo riteneva che ci fosse comunione di sensi tra il defunto e il vivo, nel mio caso ci siamo inventati che non c’è comunione tra una madre e un figlio. Quindi è discrezione, come è discrezione la vicenda che riguarda Dell’Utri”.

L’ex senatore non vuole la grazia, ma giustizia.

“Condivido in quanto è stata la mia stessa posizione. Nel mio caso c’è stata una richiesta di grazia, ma ho subito scritto al magistrato che già aveva cominciato a istruire l’istanza, per annullare tutto. Mi auguro, comunque, e prego, affinché la magistratura possa rivedere la sua decisione e consentire a Dell’Utri di poter proseguire il suo cammino di rieducazione a casa sua e curarsi con l’amore della famiglia, dando così il vero significato e valore alla Costituzione, secondo cui la pena è rieducativa e non punitiva e meno che mai vendicativa”.

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