Cuffaro: “E’ finito il mio tempo per la politica, nulla sarà come prima”

Cuffaro: “E’ finito il mio tempo per la politica, nulla sarà come prima”
19 ottobre 2015

“Un uomo che credeva di essere un re ed invece era un mendicante”. Si definisce così dal carcere di Rebibbia, dov’è detenuto per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio, Salvatore Cuffaro. Il quotidiano “Il Tempo” lo ha intervistato a pochi giorni dalla sua scarcerazione, fissata per il 16 dicembre. Magro, provato, Totò oggi è un uomo nuovo che dice di aver definitivamente chiuso con la politica.

Cuffaro, si avvicina il giorno della sua liberazione.

“Sono stanco, provato, ma sto bene. Nelle carceri si vive nella miseria che impone la legge dell’uomo. Pesa la condizione di detenuti. Questa nostra condizione è il nostro cilicio, ed avvolge corpo e mente. L’uomo che è in noi soffre e grida il suo silenzio; grida fame e miseria, grida, si sciupa e si dissecca la vita e grida il tempo, l’anima e in tutti noi si spezzano i cuori. Il carcere non ti priva soltanto della libertà. Ti toglie il fiato, il respiro lungo della vita”.

Sono passati quasi cinque anni da quando si è chiuso alle spalle la porta del carcere.

“Come dimenticarlo. Al carcere non ci si abitua mai così come non si dimentica. Ancora adesso nelle notti insonni e amare sento più forte il bisogno di fare l’appello degli affetti. Esco con la mente dalla cella, nel buio vado in giro per il carcere desolato; ascolto il rumore dei miei passi e respiro il tanfo che di notte è intriso di compassione. Nel buio sento il respiro duro e doloroso dei miei compagni detenuti, neanche le tenebre riescono a nascondere le angosce. Sconfitto, accendo la povera luce del mio letto e osservo la foto che mi ritrae insieme a mia moglie e ai miei figli e mi dà conforto cogliere impresso nei loro occhi quello che mi serve”.

Si è detto che a un certo punto lei ha pensato di farla finita

“Non ci ho mai pensato anche se purtroppo ho visto miei compagni, nelle celle accanto e di fronte, che si sono determinati nel farlo. La vita va accettata così com’è. La Ballata del carcere di Reading, magnifica opera di Oscar Wilde, ben descrive la vita dei reclusi e la loro disperazione: “E il lancinante rimorso e i sudori di sangue, nessuno li conosce al pari di me: perché colui che vive più di una vita deve morire anche più di una morte”.

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Lei è dimagrito in modo incredibile.

“Ho perso 30 chili e almeno in questo il carcere non è stato negativo”.

E la mafia?

“La mia coscienza sa di non aver mai favorito la mafia ma di averla combattuta amministrativamente e culturalmente. Tante persone che mi sono state vicine con le lettere mi hanno aiutato a portare la croce con la preghiera”.

Chi è oggi Totò “vasa vasa” Cuffaro, l’uomo dietro la cui porta in tanti si mettevano in fila?

“È un uomo più vecchio, più innamorato della vita, più consapevole che la vita è il più grande dono che abbiamo avuto: è amore, è rispetto dell’altro e della sua libertà, è comprendere senza mai stancarsi. Ho avuto paura di non sapere affrontare questa avversità e di fallire la prova a cui ero stato chiamato. Oggi posso dire che ce l’ho fatta. Non mi manca il vecchio Totò anche se confesso che mi sarebbe molto di conforto e mi piacerebbe sapere che manca agli altri (ho ricevuto 13mila lettere). So che tornato in libertà nulla sarà come prima. Sono come il mendicante che credeva di essere un re, pensava di esserlo diventato perché si era fatto da sé e che la vita si è incaricato di farlo tornare quello che è giusto che sia: se stesso”.

Un uomo abituato a ritmi di vita accelerati come si adatta al lento correre del tempo?

“In cella ci si abitua a tutto, non si ha scelta. Nella mia ora d’aria mattutina corro, poi leggo, studio, scrivo. Ho già scritto e sono stati pubblicati due libri sulla vita in carcere, sui sentimenti dei detenuti, le loro ansie, speranze, illusioni e sogni. Scrivo del trattamento inumano nelle carceri sovraffollate. Io che sono medico, in carcere mi sono iscritto a giurisprudenza. Ancora due esami e potrò laurearmi”.

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Quanti suoi colleghi di partito e amici le sono rimasti al fianco? Quanti sono spariti?

“Mi sono rimasti vicini tanti amici e colleghi di partito. Moltissimi mi hanno scritto e altri sono venuti a trovarmi. Altri ancora hanno preferito prendere le distanze. Ricordo i primi con affetto e i secondi senza risentimento nelle mie preghiere. Mi è stata rubata una parte della vita, ma la perdita di questa parte è servita a sostenere la mia stessa vita e l’ha resa più forte e più vera. La vita è il dono più grande che si riceve e l’aver avuto intaccato questo dono da una radicale ingiustizia impone a chi l’ha subita di amarla con più forza e di combattere per la verità, non innalzando barriere ma gettando ponti. Sono stato mortificato e ho avuto soggiogata la mia innocenza ma non sono stato cancellato nelle coscienze di tanti che mi vogliono bene”.

Una volta libero tornerà a fare politica?

“La politica è stata la mia vita. Il luogo dove mi sono donato alla gente, alla mia Terra, dove mi sono realizzato come uomo e spero come cristiano. È stata purtroppo, suo malgrado, anche la causa del mio carcere. È finito il mio tempo per la politica. Poi mi troverei come un pesce fuor d’acqua. Appartengo a coloro che ritengono migliori i giorni in cui gli ideali si sposavano con la politica, perché erano fecondi, questi che adesso sta vivendo la politica mi pare siano giorni senza ideali, vuoti e sterili”.

Fuori troverà Renzi, un Berlusconi in declino, i grillini, Salvini…

“Stando chiuso in una cella di 16 mq insieme ad altre tre persone passo il mio tempo a leggere giornali e libri, scrivere, vedere telegiornali e talk show. Renzi è animato di grande volontà e voglia di fare. Credo però dovrebbe essere più dialogante, sulle riforme costituzionali avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati coinvolgendo gli altri. Renzi è l’unico che è rimasto. Forza Italia con Berlusconi messo alle corde è aggrappata a niente. Non nascondo che sono preoccupato per il nostro Paese”.

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Uscendo da Rebibbia troverà una città senza sindaco.

“Conosco bene Marino. È stato il direttore dell’ISMETT (Centro trapianti siciliano) quand’ero al governo della Sicilia. Era un buon chirurgo. Differentemente da come lui si è comportato con me, gli auguro giorni sereni. In carcere ho imparato che un uomo ha il diritto di giudicare un altro uomo solo per aiutarlo”.

La politica, da uomo disintossicato, è davvero così beffarda e insidiosa?

“Ho rispettosamente bevuto per intero l’acqua amara che mi è stata assegnata. Non l’ho rifiutata e neppure allontanata: sarebbe stato scortese verso chi mi aveva prescelto a riceverla… Il carcere è un volo in caduta libera nel dolore, è un cambiamento sostanziale della condizione umana. Io mi sono sforzato di difendere la mia dignità. La politica certamente è passione, sacrificio e scelta di vita. Così l’ho vissuta, ma non posso negare che sia anche beffarda e insidiosa”.

Tornasse indietro…?

“Rifarei il presidente della mia terra perché è quanto di più bello possa capitare a chi ama la propria gente. La consapevolezza di essere stato votato da quasi 2 milioni di siciliani e di avere avuto la loro fiducia mi riempie ancora adesso di orgoglio. La Sicilia è una terra bellissima, difficile e complicata, per questo merita ancor più di essere amata e servita. Anche se la politica è stata motivo del mio dramma, se tornassi indietro la rifarei. Niente può esserci di così pesante e doloroso da potermi far rinunciare all’orgoglio di essere Presidente dei siciliani. Neanche 5 anni di carcere”.

La prima cosa che farà da uomo libero.

“Corro subito a riabbracciare mia madre. In questi anni mi è stato negato persino un permesso di 24 ore per andare ad abbracciarla, lei che ha 92 anni. Poi andrò a far visita a mio padre al camposanto. Voglio stare insieme a mia moglie e ai miei figli. Voglio dormire nel mio letto. Un uomo ha bisogno del suo letto”.

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