Da Giorgio a Giorgia, la destra riparte da Fiuggi

9 marzo 2014

Un discorso dai toni “risorgimentali”, quello pronunciato da Giorgia Meloni, al primo congresso di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale. È lei stessa ad ammetterlo e a volerlo così. Perché il suo compito è quello di “ridare una casa, una dignità, una forza nel panorama politico italiano alla grande tradizione della destra”. E non “centrodestra”. E per farlo non si possono usare toni morbidi, moderati. Occore indicare una strada chiara da seguire. E la strada che indica la Meloni, piaccia o meno, è di rottura: innanzitutto con l’euro, la moneta unica che sta strangolando il Paese, ma anche con il Ppe: “Non rimarremo più nel Partito Popolare Europeo – tuona Giorgia – perché ha rinnegato la sua vocazione e si è asservito al potente di turno”. Quando la presidente sale sul palco del Palaterme di Fiuggi la sala è gremita. Gli oltre tremila delegati hanno già preso posto, Ignazio La Russa ha fatto gli onori di casa e Simone Baldelli, vicepresidente della Camera, ha portato i saluti di Forza Italia. Ma l’attesa è tutta per lei. Prende la parola a mezzogiorno, parlerà per quasi un’ora. Prima uno sguardo al passato: “Più di un anno fa – spiega – abbiamo intrapreso questa strada per essere padroni del nostro destino, una scelta incomprensibile per chi ha come unico obiettivo la poltrona. Ora questo percorso è aperto a tutti coloro che vogliono ricostruire. Non tornando ad An, ma ripartendo da An”. Lo spazio per le frasi “ecumeniche”, però, è poco. La Meloni parte subito all’attacco. I primi fendenti solo per l’ex Pdl: “Non ce ne saremmo andati – tuona – se ci fossero stati spazi di democrazia interna e meritocrazia”. È l’occasione per ribadire la fede nelle primarie, unica condizione per tornare insieme a Berlusconi: “Nessuno dia per scontate le nostre future alleanze” urla Giorgia, e la sala esplode in uno degli applausi più fragorosi. È la volta dell’euro.

La presidente parte attaccando i governi imposti dall’alto con “vigliacche manovre internazionali”, compreso l’ultimo di Renzi. E sulla moneta unica non usa mezze misure: “L’euro, a queste condizioni, non conviene all’Italia. E se per questo ci definiranno populisti, chissenefrega, meglio populisti che servi”. Renzi, si diceva. Un tempo la Meloni lo guardava quasi con simpatia. Ora il quadro è completamente cambiato. «Sottoporrà il suo Jobs act alla Merkel il 17 marzo, la data che celebra l’unità nazionale. Si vergogni, il suo inchino alla Schettino vada a farlo l’8 settembre”. Altro boato in sala. Eppure, da Renzi Giorgia sembra aver mutuato qualche tecnica comunicativa. Il discorso “multimediale”, con le immagini che spesso si sostituiscono alle parole, oppure il richiamo a tante storie personali, dal giovane militante di 19 anni a Gigliola, vittima del fisco ingiusto. Ma i temi sono del tutto diversi. La Meloni se la prende con Equitalia, con chi ha seppellito la proposta di legge di Fdi contro le pensioni d’oro, stronca lo ius soli e attacca le merci estere che fanno concorrenza sleale ai prodotti italiani. Da lì comincia la parte “alta” del discorso. Lotta alla criminalità, difesa del verde, cultura. E qui, con coraggio, la Meloni non si allinea ai complimenti bipartisan per l’Oscar di Sorrentino: “Sarei stata più contenta se avesse usato il suo talento per raccontare il meglio degli italiani e non la loro caricatura”. Si chiude con gli altoparlanti che lanciano “Più su” di Renato Zero. La Russa forza la scaletta e proclama la Meloni presidente di Fdi-An con un giorno d’anticipo. Poi lei scende dal palco e si abbraccia con Donna Assunta. Che nell’orecchio le sussurra: “Sei stata brava, hai fatto un discorso da presidente della Repubblica”.

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È tempo di votare per il simbolo, unico momento di imbarazzo. Perché l’unanimità salta per 16 voti contrari. “Avremmo preferito quello con la scritta Alleanza Nazionale sopra” spiegano alcuni delegati milanesi “rautiani”. Nel pomeriggio prendono la parola gli altri protagonisti del nuovo partito. Applauditissimo l’intervento di Alemanno, che cita uno dei suoi cavalli di battaglia, l’introduzione di dazi doganali per limitare la concorrenza sleale dei prodotti esteri, e invita il centrodestra a fare autocritica per quello che al governo poteva fare e non ha fatto. Infine annuncia il probabile viaggio in Francia, nelle prossime settimane, per incontrare Marine Le Pen con Giorgia Meloni. Mentre Magdi Allam gioisce per la «nascita del partito della sovranità monetaria che non può puntare al 4%, bensì al 40». In sala, a spellarsi le mani c’è anche il delegato più anziano, Giovannino Battisti, che c’era anche nel 1946, quando nacque il Msi. Oggi si riparte con la replica della Meloni, poi si voteranno le mozioni e si chiuderà il congresso. Da domani si corre verso le Europee.

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