Il delitto Macchi resta un mistero, Binda assolto in appello

Il delitto Macchi resta un mistero, Binda assolto in appello
Stefano Binda e Lidia Macchi
24 luglio 2019

Non è Stefano Binda l’assassino di Lidia Macchi. Lo ha stabilito la Corte d’Assise d’Appello di Milano che, con un colpo di scena, ha ribaltato la sentenza di primo grado, annullato la condanna all’ergastolo e assolto “per non aver commesso il fatto” il 50enne che così, dopo oltre 3 anni e mezzo trascorsi dietro le sbarre nel carcere di Busto Arsizio, può tornare a casa sua. Il collegio di giudici togati e popolari presieduti da Elena Caputo ha infatti ordinato l’immediata liberazione dell’imputato che, fin dal momento dell’arresto scattato nel gennaio 2016, ha sempre respinto ogni accusa. “Non ho ucciso io Lidia Macchi. Sono innocente ed estraneo a tutta la vicenda”, ha ribadito questa mattina Binda. Questa volta i giudici gli hanno dato ragione, respingendo la richiesta del sostituto pg Gemma Gualdi di confermare l’ergastolo.

Binda, residente a Brebbia, comune dell’hinterald varesino, venne arrestato sulla base di una perizia grafologica che lo identificava come l’autore del poema anonimo “In morte di un’amica” recapitato alla famiglia Macchi nel giorno dei funerali di Lidia. Un componimento che secondo gli inquirenti conterrebbe una descrizione dettagliata della scena del delitto e che proprio per questo venne attribuita, fin dalla primissima fase delle indagini, all’assassino della studentessa. Un impianto accusatorio che, nel primo grado di giudizio, ha retto al vaglio della Corte d’Assise di Varese ma che è stato spazzato via dalla sentenza d’appello.

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Stefania Macchi, sorella della vittima, non nasconde la sua amarezza: “Abbiamo sempre atteso e aspettato per 32 anni, sperando che prima o poi si sapesse la verità. Lidia non ce la restituisce nessuno e neppure questi anni senza di lei. Anche adesso vogliamo sapere la verità su quello che è accaduto quella sera, è una cosa che chiunque vorrebbe sapere”. Più duro il commento di Daniele Pizzi, legale di parte civile della famiglia Macchi: “Questa sentenza è la 30esima coltellata per Lidia”. Di tutt’altro tenore il commento della difesa dell’imputato: “Sono molto contenta, non ce l’aspettavamo ma ci speravamo”, sono state le parole dell’avvocato Patrizia Esposito, che difende Binda insieme al collega Sergio Martelli.

In appello la difesa ha chiesto e ottenuto la riapertura del dibattimento. Sul banco dei testimoni è così tornato il legale bresciano Piergiorgio Vittorini, che ha ribadito quanto già fatto mettere a verbale nell’aula del processo di primo grado: “So chi ha scritto quella lettera, ma non posso rivelarne il nome”. Per la difesa, inoltre, Binda aveva un alibi di ferro: nel giorno dell’assassinio di Lidia, non era a a Varese, ma a Pragelato, nota località sciistica delle alpi piemontesi. Argomentazioni che i giudici hanno preso per buone: Binda è un uomo libero e può tornare a casa sua. Ma dopo 32 anni, il delitto di Lidia Macchi resta avvolto dal mistero.

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