Due lingue diverse e un cappellino, ucciso un migrante in barca

Due lingue diverse e un cappellino, ucciso un migrante in barca
6 maggio 2017

Era cittadino della Sierra Leone, aveva 21 anni, parlava l’inglese e viaggiava insieme a un fratello piu’ grande il giovane ucciso dai trafficanti libici e giunto a Catania sulla nave Phoenix dell’ong Moas, assieme a 394 migranti. Di certo si sa che il giovane e’ stato freddato con un colpo di arma da fuoco, secondo quanto stabilito dal medico legale nominato dalla Procura di Catania che, pero’, non e’ riuscito a capire, al termine di un primo esame esterno, se si sia trattato di una pistola o di un fucile. Sul perche’ e’ stato ucciso, invece, vige il massimo riserbo: alcuni testimoni, e tra questi anche il fratello dell’immigrato giunto nel porto etneo senza vita, hanno riferito di un diverbio tra la vittima e uno scafista che pretendeva il suo cappellino da baseball e che lui si era rifiutato di consegnarli. Ma alla base potrebbe esserci stata una tragica reazione determinata da una’incomprensione legata alla lingua. Il giovane della Sierra leone parlava l’inglese mentre lo scafista l’arabo e dunque il giovane poi freddato potrebbe non avere compreso la pretesa dell’arabo. Ricostruita invece la dinamica: la sparatoria sarebbe avvenuta su un gommone e il corpo e’ rimasto sul fondo del natante, vegliato dal fratello. Poi e’ stato recuperato dai soccorritori. La squadra mobile della polizia di Stato che indaga su delega della Procura distrettuale di Catania sta sentendo il fratello della vittima, oltre agli altri testimoni. La magistratura, che ha aperto un fascicolo, ha disposto l’autopsia. Sui soccorsi in mare e sul ruolo delle Ong, intanto, il dibattito continua a tenere banco.

“Noi vorremmo collaborare con tutti – ha detto Regina Catrambone, fondatrice dell’ong Moas, oggi a Catania – tutti mi chiedono di questo procuratore, ma io non lo conosco, non lo ho mai visto e credo che lui non conosca ne’ me ne’ mio marito. Se bisogna fare un’indagine ben venga, ma non gli stillicidi mediatici, facciamoli nelle aule dei tribunali con le porte chiuse e con la segretezza. Io mi chiedo come mai queste domande in questo momento – ha detto ancora ai giornalisti – che abbiamo portato via dalla nave il corpo senza vita di un ragazzo di solo 21 anni che e’ morto per mano dei trafficanti veri. Noi non siamo trafficanti, noi siamo persone che non sono riuscite a restare indifferenti alle morti in mare. E dopo la terribile tragedia delle 368 persone morte al largo di Lampedusa abbiamo partecipato a Mare Nostrum rispondendo anche all’appello dell’Europa che chiedeva un intervento concreto per aiutare l’Italia. Risposta che non c’e’ stata da nessuno tranne che dalla societa’ civile e da alcuni singoli che eravamo io e mio marito e abbiamo sempre cooperato con tutti, con Frontex, con la Marina militare italiana. Noi chiediamo rispetto per tutto il personale delle Ong e delle organizzazioni umanitarie che cooperano in mare”. Intanto proprio sulla Moas il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, chiede indagini approfondite da parte della magistratura. Il senatore Vanniti Chiti, invece, oggi in Sicilia alla guida di una delegazione dell’unione dei parlamentario dell’Ue, da parte sua ha detto che non si puo’ fare di tutta l’erba un fascio, se si dice che ong sono connesse con la criminalita’ viene meno un tassello importante di solidarieta’ operativa e di un modello, come quello di Pozzallo, che funzioa. Poi – ha aggiunto Chiti – non spetta a me indagare, siamo in uno stato democratico. I magistrati se hanno dei sospetti devono indagare ma quello che io chiedo e’ che chi fa il magistrato indaghi con responsabilita’ e riservatezza, individui se ci sono responsabili e i responsabili li porti in tribunale e li condanni”.

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