Esecuzione a Palermo, ucciso il boss Dainotti. Venti di guerra alla vigilia anniversario stragi ’92

22 maggio 2017

Omicidio eccellente a Palermo. Un commando ha ucciso il boss Giuseppe Dainotti, 67 anni. L’uomo, con sulle spalle una condanna all’ergastolo, ma scarcerato nel 2014, e’ stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in via D’Ossuna nel quartiere Zisa. Dainotti, ritenuto un esponente di spicco di Cosa nostra e fedelissimo del capomafia Salvatore Cancemi, era in bicicletta quando e’ stato affiancato dai sicari, forse due, che gli hanno sparato alla testa, uccidendolo sul colpo. Sul posto la polizia di Stato e la Scientifica per i rilievi e gli interrogatori. Una vera e propria esecuzione contro colui che sarebbe stato gia’ da anni indicato con un obiettivo. Venti di guerra di mafia alla vigilia del 25esimo anniversario delle stragi del ’92. Dieci giorni fa il questore di Palermo Renato Cortese aveva lanciato l’allarme: “Ci sono state alcune scarcerazioni che ci preoccupano perche’ la mafia e’ un’organizzazione che oggi va alla ricerca di leadership. C’e’ sempre il timore che trovando una testa pensante in grado di concentrare le varie anime, Cosa nostra possa ritornare a essere pericolosa come prima”. Era intervenuto al seminario “Raccontare Cosa nostra al tempo delle stragi”, e oggi quelle parole ritornano dopo l’omicidio di Giuseppe Dainotti, 67 anni, esponente di spicco del mandamento Porta Nuova, ucciso dai sicari, stamane, poco prima delle 8, con un colpo di pistola alla testa, in via D’Ossuna, vicino al Tibunale. “Cosi’ e’ reale – avvertiva Cortese – la possibilita’ che possa tornare potente come prima. Per questo monitoriamo in questi mesi ogni singolo movimento, ogni segnale, ogni scarcerazione, perche’ le organizzazioni sono molto ben radicate sul territorio”.

A febbraio, a esempio era tornato libero un capomafia palermitano di prima grandezza, il boss del mandamento San Lorenzo, Giulio Caporrimo: scarcerato per fine pena, dopo avere scontato oltre sei anni. Sebbene fosse stato condannato a 10 anni, i suoi legali erano riusciti a far calcolare il cosiddetto “cumulo” fra piu’ pene, ottenendo il ritorno in liberta’ del boss. Caporrimo, uscito dal carcere ad aprile 2010, dopo avere scontato un’altra lunga condanna per mafia, era tornato ad essere il nuovo capo della cosca di San Lorenzo. Per questo i carabinieri avevano ripreso a monitorarlo, fino al momento del nuovo arresto, avvenuto a novembre 2011, quando fu eseguito un ordine di custodia cautelare nei confronti di 36 persone, ritenute appartenenti ai clan di San Lorenzo, Passo di Rigano e Brancaccio. Avrebbe dovuto “ristrutturare” Cosa nostra a Palermo e per questo organizzo’ un grande vertice a Villa Pensabene, il 7 febbraio 2011. Fedelissimo dei boss di Tommaso Natale Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Caporrimo aveva intessuto rapporti con i mafiosi di Trapani (provincia di cui e’ originario il superlatitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro) dopo essere stato a lungo in cella con Epifanio Agate, figlio di Mariano, capomafia di Mazara del Vallo. Sempre in carcere, Caporrimo aveva allacciato rapporti pure con la ndrangheta calabrese, con i mafiosi pugliesi e con i “napoletani appartenenti agli amici nostri”, cioe’ a Cosa nostra campana, da tenere ben distinta, nel suo linguaggio, dagli “scissionisti di Scampia”. Dainotti era gia’ nel mirino della mafia palermitana. Nell’aprile 2014 era scattata un’operazione dei carabinieri per fermare una guerra pronta a esplodere.

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“L’intervento si e’ reso necessario per scongiurare l’inizio di una faida tra famiglie mafiose per il controllo del mandamento di Porta Nuova. Una lotta iniziata di fatto all’indomani dell’omicidio di Giuseppe Di Giacomo, considerato il reggente dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio”, aveva detto l’allora comandante provinciale dei carabinieri, Piergiorgio Iannotti. Dainotti condannato all’ergastolo era tornato libero dopo circa 25 anni di carcere. A fine gennaio 1992 era nel gruppo dei nove mafiosi che avevano fatto ritorno in carcere, a seguito della sentenza definitiva della Cassazione sul primo maxiprocesso a Cosa nostra, per scontare otto anni. Fedelissimo del boss Salvatore Cancemi, in cella c’era finito anche per il colpo milionario al Monte dei Pegni di Palermo e per omicidio: nel novembre 2001, furono inflitti 52 ergastoli e anche Dainotti era nell’elenco. Tra i delitti oggetto del processo, anche quelli dell’agente della sezione catturandi della Squadra Mobile di Palermo, Calogero Zucchetto, ucciso con cinque colpi di pistola il 14 novembre dell’82, e del capitano dei carabinieri Mario D’Aleo, ucciso all’inizio degli anni ’80. Gli altri delitti erano tutti agguati contro esponenti mafiosi eliminati per non aver rispettato le decisioni prese dalla cosca di appartenza o che svolgevano attivita’ criminose senza il permesso dei boss. Nel 2000 entro’ in vigore la legge Carotti che aveva disposto la sostituzione dell’ergastolo con la pena di trent’anni. Il 23 novembre quella legge fu superata da un decreto legislativo che all’articolo 7 sanciva il ritorno al passato, ma nel 2009 la Corte europea diede ragione a un imputato italiano e la Cassazione gli ridusse la pena a trent’anni.

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