Il fisco chiede a una “lucciola” di sborsare 24 mila euro. “Pecunia non olet”

Il fisco chiede a una “lucciola” di sborsare 24 mila euro. “Pecunia non olet”
9 luglio 2016

di Laura Della Pasqua

sesso prostituzioneQuando si tratta di far cassa, il fisco non guarda in faccia a nessuno. Così è accaduto che una escort è entrata nel mirino della Guardia di Finanza che le ha contestato di non aver dichiarato una montagna di soldi: 36 mila euro nel 2010, 40 mila 523 nel 2011, altri 39 mila 395 nel 2012. Il frutto di un’attività intensa e regolare che la “lucciola” pensava fosse esentasse. Le Fiamme Gialle hanno perquisito l’appartamento della donna dove hanno trovato un’agenda con gli appuntamenti e i relativi incassi pari a 100 euro al giorno e circa 3 mila euro al mese nei momenti più bui. L’Agenzia delle Entrate ha quindi intimato alla escort di mettersi in regola pagando, come qualsiasi professionista, l’Irpef, l’Iva, le addizionali comunali e regionali e i contributi previdenziali. Dall’indagine della finanza è emerso anche che la donna per farsi pubblicità sui giornali spendeva circa 4.300 euro l’anno. L’escort ha tentato di sfuggire alla rete dell’Agenzia delle Entrate ma la Commissione Tributaria provinciale di Savona non solo ha respinto il ricorso ma le ha imposto di pagare altri 2000 euro per risarcire le spese di giudizio. Nella sentenza, di cui riferisce il sito cassazione.net, la Commissione Tributaria si rifà alla legge che definisce la prostituzione come “una prestazione di servizio verso corrispettivo” e quindi come tale tassabile.

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Poi cita addirittura l’imperatore Vespasiano che varò una specie di Iva sulla pipì a carico dei proprietari di latrine che poi vendevano l’urina ai conciatori di pelle. Al figlio Tito che gli rimproverava di aver ideato questa imposta singolare per risanare le casse dello Stato, Vespasiano risposte: pecunia non olet (Il denaro non ha odore). La Commissione Tributaria sembra fare lo stesso ragionamento. Impossibile appellarsi, qualora qualcuna volesse tentare questa strada, alla Corte di giustizia europea. Una sentenza qualifica la escort come “lavoratrice autonoma” e senza vincolo di subordinazione a fronte di una retribuzione “pagata integralmente e direttamente dal cliente”. Pertanto come qualsiasi professionista deve pagare l’Iva. Pertanto per la donna è una vera batosta. Sul reddito netto da lavoro autonomo del 2010, pari a 31 mila 700 euro, deve pagare oltre 24 mila euro tra Irpef, Iva e contributi previdenziali.

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