Governo brinannico valuta fuga Elisabetta II in caso di “no deal”

Governo brinannico valuta fuga Elisabetta II in caso di “no deal”
Regina Elisabetta II
3 febbraio 2019

“La notizia più risibile sulla Brexit pubblicata finora”: il settimanale britannico The Mail on Sunday commenta così la voce secondo cui – in caso di “Hard Brexit” e relativi quanto improbabili disordini – il Ministero degli Interni avrebbe approntato un piano per fare uscire dal Paese la regina Elisabetta – un “Brexit” ben più clamoroso di quello politico. Secondo fonti governative Whitehall avrebbe rispolverato un piano per l’evacuazione della Royal Family in caso di invasione approntato al culmine della Guerra Fredda per adattarlo allo “scenario peggiore” di un’uscita dall’Ue senza alcun accordo.

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Piano che il conservatore Jacob Rees-Moog, uno dei principali “Brexiters”, ha definito “un sogno di alcuni alti funzionari studiosi di fantasy piuttosto che di storia: il posto del monarca è sempre nella capitale, come dimostrato dalla defunta Regina Madre in occasione dei bombardamenti su Londra” della Seconda guerra mondiale. Né Buckingham Palace né Downing Street hanno rilasciato alcun commento sulla vicenda, citando motivi di sicurezza. “Project Fear” venne preparato nel 1962 al culmine della crisi missilistica cubana, in previsione di un conflitto con l’Unione Sovietica, e prevedeva il trasferimento della regina sul suo yacht personale, il Britannia, o nel bunker sotterraneo approntato in caso di bombardamenti nucleari che avrebbe ospitato le massime cariche di governo e militari.

Intanto, il premier britannico Theresa May ha assicurato che il voto della Camera dei Comuni le ha conferito “un nuovo mandato” per negoziare con Bruxelles i termini della Brexit, malgrado l’Ue abbia ribadito nei giorni scorsi che l’intesa già approvata dai Ventisette non può essere rimessa in discussione. In un editoriale pubblicato sul settimanale e The Sunday Telegraph May ha però affermato di voler battersi per la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord per eliminare la clausola del “backstop”, ovvero la soluzione temporanea pensata per evitare una frontiera fisica fra le due Irlande, proibita peraltro dagli accordi di pace del Venerdì Santo.

“Se rimarremo uniti parlando con una voce sola, credo che riusciremo a trovare una strada per andare avanti”, ha insistito May dicendosi fiduciosa nel poter trovare una maggioranza ai Comuni favorevole all’accordo – sempre che la clausola sul “backstop”, che secondo i critici rischia di mantenere il Regno Unito legato di fatto all’Ue senza possibilità di rinuncia unilaterale da parte di Londra – venga però eliminata. Secondo May anche il leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, è d’accordo sul considerare “la natura potenzialmente indefinita del backstop come un problema” e la stessa Ue avrebbe “già accettato il principio di ‘disposizioni alternative’ che superino il backstop qualora sorgesse la necessità di una sua applicazione”.

May ha inoltre respinto le accuse che una riapertura dei negoziati rischi di minare l’accordo di pace irlandese, e soprattutto “non ho tempo da perdere con coloro che credono che il verdetto emesso dal popolo britannico del 2016 debba essere rovesciato prima ancora di essere applicato”, un riferimento a un secondo referendum. “Sono decisa a mettere in pratica la Brexit, e a metterla in pratica in tempo, il 29 marzo del 2019” ha concluso la premier, che si è impegnata a mettere al voto il 13 febbraio ai Comuni un eventuale accordo rivisto.

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