I privati si arricchiscono ma allo Stato restano le briciole

30 aprile 2014

Prelevare e vendere materie prime del territorio e’ un’attivita’ altamente redditizia eppure i canoni di concessione pagati da chi cava “sono a dir poco scandalosi”. In media infatti, “si paga il 3,5% del prezzo di vendita degli inerti ma esistono situazioni limite come nel Lazio, in Valle d’Aosta e in Puglia dove il prelievo degli inerti costa solo pochi centesimi e regioni come Basilicata e Sardegna dove si cava addirittura gratis”. Le entrate degli enti pubblici attraverso i canoni di prelievo sono dunque “ridicole in confronto ai guadagni del settore: il totale nazionale dei canoni pagati nelle diverse regioni, per sabbia e ghiaia, e’ arrivato nel 2012 a 34,5 milioni, mentre il ricavato annuo dei cavatori risulta pari a un miliardo”. E’ quanto emerge dal ‘Rapporto cave 2014′ di Legambiente. A fronte di questi ricavi irrisori, pero’, “enormi crateri come ferite aperte sul territorio costellano i paesaggi italiani”. Da Nord a Sud le cave attive in Italia “sono 5.592, quelle dismesse e monitorate addirittura 16.045, mentre se aggiungessimo anche quelle delle regioni che non hanno un monitoraggio (Calabria e Friuli Venezia Giulia) il dato potrebbe salire a 17 mila”. Nonostante la crisi del settore edilizio abbia contribuito a ridurre le quantita’ dei materiali lapidei estratti, i numeri rimangono comunque impressionanti: un miliardo di ricavo, 80milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 31,6 milioni di metri cubi di calcare e oltre 8,6 milioni di metri cubi di pietre ornamentali estratti nel 2012.

Gli esigui 34,5 milioni che finiscono alla Regioni “potrebbero diventare ben 239 milioni, se fossero applicati i canoni in vigore nel Regno Unito- avverte Legambiente- ad esempio in Sardegna si potrebbe passare da 0 a 17 milioni”. Per quanto riguarda il grosso giro d’affari dei cavatori e gli irrisori proventi per le Regino, “solo per fare un esempio- segnala l’associazione- in Puglia nel 2012 sono stati cavati cavati 10,3 milioni di metri cubi di inerti che hanno fruttato 129 milioni di introiti ai cavatori e solamente 827mila euro al territorio”. Ma anche dove si pagano “canoni leggermente superiori, come nel Lazio ed in Valle d’Aosta, il rapporto tra le entrate regionali e quelle delle aziende e’ di 1 a 40”. Nel Lazio la Regione “ricava meno di 4,5 milioni contro i quasi 190 milioni del volume d’affari complessivo con i prezzi di vendita”. Quello che emerge dunque, e’ “l’enorme e netta differenza tra cio’ che viene richiesto e incassato dagli enti pubblici ed il volume d’affari generato dalle attivita’ estrattive in tutte le regioni, in quelle dove il canone richiesto non arrivano nemmeno ad un decimo del loro prezzo di vendita come in Piemonte, Provincia di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana ed Umbria, ma anche in Campania, Abruzzo e Molise, dove i canoni sono piu’ alti”. Ancora, “in Sicilia e Calabria, con l’introduzione per il primo anno del canone di concessione, le regioni ricavano rispettivamente 208 e 420mila euro per l’estrazione di sabbia e ghiaia a fronte dei 10 milioni ricavati dai cavatori in Sicilia ed ai quasi 15 milioni ricavati in Calabria”.

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Nel complesso, “la situazione si puo’ giudicare leggermente migliore al centro-nord, dove il quadro delle regole e’ in gran parte completo con Piani cava – lo strumento che indica le quantita’ di materiale estraibile e le aree dove e’ consentita l’attivita’ di cava – periodicamente aggiornati, mentre non vi sono Piani in vigore in Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sicilia, Calabria e Basilicata”, segnala Legambiente. Il Piemonte ha solamente Piani di indirizzo e rimanda alle Province l’approvazione del Piano. “Questa situazione di incertezza lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede le autorizzazioni- avverte l’associazione- ma considerando il peso che interessi economici e criminalita’ organizzata, in particolare nel Mezzogiorno, hanno nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo della aree cava, si comprende perche’ bisogna correre ai ripari e regolamentare il settore”. Sabbia e ghiaia rappresentano il 62,5% di tutti i materiali cavati in Italia, soprattutto nel Lazio, Lombardia, Piemonte e Puglia, dove ogni anno vengono prelevati circa 50 milioni di metri cubi di queste materie prime. Rilevanti sono anche gli impatti e i guadagni legati all’estrazione di pietre ornamentali, ossia di materiali di pregio dove sono minori le quantita’ estratta ma rilevantissimi i guadagni e gli stessi impatti (dalle Alpi Apuane al Marmo di Botticino-Brescia, alla pietra di Trani).

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A governare un settore cosi’ importante e delicato per gli impatti ambientali e’ a livello nazionale tuttora un Regio Decreto del 1927, “con indicazioni chiaramente improntate a un approccio allo sviluppo dell’attivita’ oggi datato”, rileva Legambiente. Inoltre in molte regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, “si riscontrano rilevanti problemi per un quadro normativo inadeguato, una pianificazione incompleta e assenza di controlli sulla gestione delle attivita’ estrattive”. Alla luce di tutto cio’ “occorre promuovere una profonda innovazione nel settore delle attivita’ estrattive- dice il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini- attraverso regole di tutela efficaci in tutta Italia e canoni come quelli in vigore negli altri Paesi Europei. Ridurre il prelievo di materiali e l’impatto delle cave nei confronti del paesaggio e’ quanto mai urgente e oggi assolutamente possibile. Lo dimostrano i tanti Paesi dove si sta riducendo la quantita’ di materiali estratti attraverso una politica incisiva di tutela del territorio, una adeguata tassazione e la spinta al riutilizzo dei rifiuti inerti provenienti dalle demolizioni edili”. In un periodo di tagli alla spesa pubblica, conclude Zanchini, “e’ inaccettabile che un settore tanto rilevante da un punto di vista economico e ambientale venga completamente trascurato dalla politica nazionale. E’ possibile creare filiere innovative di lavoro e ricerca applicata, ridurre il prelievo di cava attraverso il recupero di materiali e aggregati provenienti dall’edilizia e da altri processi produttivi, ma serve intervenire su una normativa nazionale vecchia di quasi 90 anni, per ripristinare legalita’, trasparenza e tutela”.

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