L’angoscia degli yazidi in Usa davanti la tv

11 agosto 2014

Guardano i notiziari televisivi e aspettano, temendo il peggio per i loro familiari. Sono talmente angosciati da augurarsi persino che siano uccisi dalle bombe statunitensi, pur di salvarli dalla crudeltà degli estremisti dello Stato islamico. Sono gli yazidi che vivono negli Stati Uniti, intervistati da Vox dopo i raid aerei degli Stati Uniti contro i ribelli che sembrano intenzionati a sterminare qualsiasi minoranza religiosa presente in Iraq, dove continuano a conquistare terreno. Salam Sheikh ha 28 anni, tre sorelle e una madre disabile in Iraq. Non dorme da quando gli estremisti sunniti sono entrati nella sua città natale di Sinjar, rendendo i suoi familiari prigionieri nella loro stessa casa, dove si nascondono, mentre in decine di migliaia continuano a fuggire. Nel mondo ci sono circa 600.000 yazidi, in gran parte in Iraq. Circa 200 famiglie vivono negli Stati Uniti, di cui la metà a Lincoln, in Nebraska, dove si sono stabilite dopo la Prima guerra del golfo.

Lincoln è una città di 265.000 abitanti, che ospita rifugiati da oltre 40 Paesi. Oggi è l’unica città statunitense a ospitare un’ampia comunità di yazidi. Nelle scorse settimane, gli yazidi hanno protestato con il governatore e i politici locali, decidendo poi di andare a Washington per portare all’attenzione del Paese il dramma degli yazidi in Iraq. Il dramma di Sheikh è lo stesso vissuto, per esempio, da Iekhan Safar, 26 anni, dal 2006 negli Stati Uniti – dove sono nati i suoi tre bambini – che ha due sorelle e i loro figli, appena nati, intrappolati con decine di migliaia di yazidi sulle montagne di Sinjar. Rischiano di morire di fame e sete restando tra le montagne, ma sarebbero condannati alla morte scendendo a valle, dove li attendono gli estremisti. Gli yazidi, perseguitati per centinaia di anni, avrebbero subito 73 tentativi di genocidio. Ora, quelli che vivono negli Stati Uniti temono di assistere, a migliaia di chilometri di distanza, al settantaquattresimo. “E’ peggio della guerra” ha commentato Sheikh.

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Sheikh è arrivato negli Stati Uniti come molti altri yazidi: con un visto speciale rilasciato ai traduttori che avevano lavorato con l’esercito statunitense durante la guerra in Iraq. Così, i primi yazidi arrivarono in Nebraska nel 1991; l’invasione statunitense dell’Iraq, nel 2003, per deporre Saddam Hussein ha naturalmente provocato una nuova ondata di yazidi in America, compreso Sheikh, arrivato 16 mesi fa. Sheikh si è detto orgoglioso di aver lavorato con i militari statunitensi, così come Hayder Murad, che ha lavorato come traduttore dal 2005 al 2011, per poi trasferirsi a Lincoln nel 2012. Gli yazidi “hanno accolto per primi gli Stati Uniti, li abbiamo aiutati”. Ora, però, temono entrambi che i ribelli dello Stato islamico puniscano i loro familiari per aver collaborato in passato con gli Stati Uniti. Quando è arrivato negli Stati Uniti, Murad pensava di non tornare mai più in Iraq. Ora vuole farlo per salvare la sua gente.

“Siamo pronti ad aiutare, ad andare ovunque, unendoci all’esercito statunitense o mettendo in piedi una squadra speciale. Siamo tutti pronti – ha detto a Vox – a morire per salvare le persone. Non m’interessa della mia vita, tutto quello che m’importa è salvare le mie tre sorelle”. Anche la famiglia di Waleesa Antar, 26 anni, è intrappolata in casa, nei pressi di Sinjar. Ogni volta che sente al telefono i suoi familiari, teme che sia l’ultima. L’angoscia è talmente insopportabile da spingerla a pensare al suicidio, ha raccontato con l’aiuto di un traduttore. A fermarla è solo il pensiero che lascerebbe una figlia di tre anni. “Non posso pensare a nulla di buono – ha raccontato – che possa capitare ai mie parenti”. L’angoscia tra gli yazidi è tale che Sheikh ha un desiderio frutto della disperazione, nel caso la sua famiglia non riuscisse a fuggire: quello di vedere bombardata l’intera città, dagli iracheni o dagli americani, e assistere alla morte di tutti. “Vorrei che bombardassero tutta la città, compresa la mia famiglia. Ucciderei la mia famiglia piuttosto che lasciare che quelli dello Stato islamico vi si avvicinino”. (TMNews)

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