La Spagna alle urne per il secondo voto di quest’anno, si rischia un nuovo stallo

La Spagna alle urne per il secondo voto di quest’anno, si rischia un nuovo stallo
Pedro Sanchez
8 novembre 2019

Domenica 10 novembre la Spagna torna alle urne per il secondo voto politico di quest’anno, il quarto in quattro anni, con lo spettro di una nuova impasse. Il premier socialista ad interim Pedro Sanchez ha preso le distanze dalla sinistra anti-austerità di Unidas Podemos, usando toni moderati alla ricerca dei voti di centro. Ma il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha rimproverato a Sanchez di avvicinarsi alla destra, insistendo sulla necessità di una “coalizione progressista di sinistra”. Dalla parte opposta, il capo del Partido Popular, Pablo Casado, ha vinto il duello con il numero uno di Ciudadanos, Albert Rivera, per la leadership del blocco della destra. Il partito di Rivera è in caduta libera dall’ultimo voto di aprile e rischia di perdere i due terzi dei seggi al Congresso.

C’è inoltre Santiago Abascal, il leader del nuovo partito di estrema destra Vox, che nell’ultimo dibattito alla tv pubblica ha usato toni forti anti-immigrazione e nazionalisti, attaccando le autonomie regionali e – spinto soprattutto dalla crisi catalana – potrebbe raddoppiare i seggi e finire dietro a socialisti e popolari. Il panorama politico è, quindi, molto frammentato: rispetto all’ultimo voto, se la destra è ancora disposta a coalizzarsi, a sinistra Sanchez continua a escludere un governo con Podemos. Ma tra i protagonisti della sfida elettorale c’è anche il co-fondatore di Podemos, Inigo Errejón, che ha lasciato il partito in polemica con Iglesias e si presenta al voto con la sua formazione Mas País (Più Paese), puntando agli elettori di sinistra “delusi”, anche se per molti rischia di frammentare ulteriormente i voti a favore della destra.

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Sul voto pesa poi il fronte catalano. La crisi è scoppiata nuovamente dopo le dure condanne della Corte suprema ai leader separatisti per il referendum sull’indipendenza, con enormi proteste e rivolte per le strade. La destra si è schierata con il governo, che ha difeso il verdetto; Casado e Rivera hanno accusato Sanchez di volere il sostegno dei partiti indipendentisti anche se il premier ha usato la mano pesante e ha promesso di reintrodurre il divieto di referendum illegali, che il suo stesso partito aveva rimosso dal codice penale anni fa. Insomma, con queste premesse, è quasi impensabile che un solo partito domenica conquisti la maggioranza dei seggi. Le elezioni anticipate del 10 novembre saranno le quindicesime elezioni dalla transizione democratica dopo la fine della dittatura franchista. Le prime erano state quelle del 15 giugno 1977, le ultime si sono svolte il 28 aprile scorso.

Da sinistra in senso orario: Pedro Sanchez, Pablo Casado, Pablo Iglesias, Santiago Abascal, Albert Rivera

Il ricorso al voto è stato voluto di fatto dal premier Pedro Sánchez, che aveva vinto di misura la contesa di aprile (28,7% e solo 123 seggi al Congresso su 350) ma non era stato capace di costituire un’alleanza per governare, né con la sinistra (Podemos), né con il centro (Ciudadanos) né tantomeno con la destra (Partito popolare). Pretendeva in realtà di governare comunque da solo, contro ogni evidenza. La Spagna è passata in pochissimo tempo dal bipartitismo perfetto alla frammentazione della rappresentanza parlamentare, senza avere nel suo DNA la cultura dei governi di coalizione. Tanto si era dimostrata all’altezza della transizione pacifica, per nulla scontata, dalla dittatura alla democrazia, tanto si dimostra sprovveduta e riluttante nella seconda, necessaria transizione dalla democrazia dell’alternanza bipartitica alla democrazia consociativa o perlomeno delle alleanze governative, con due o più partiti che condividono un programma di legislatura e i Ministeri dell’Esecutivo. Il continuo ricorso alle urne è l’effetto di questa immaturità.

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I NUMERI IN PARLAMENTO

Numeri alla mano, per ottenere i 176 voti necessari per insediarsi, il prossimo governo guidato dai socialisti dovrà necessariamente stringere alleanze. Da solo infatti il Psoe potrebbe ottenere tra 118 e 126 seggi; e rischia di non bastare il solo appoggio di Podemos, con i suoi 35-40 seggi. Pertanto, negli ultimi giorni di campagna, Sanchez sta cercando di conquistare i voti degli indecisi, puntando anche sull’elettorato di centro-destra, in particolare quelli di Ciudadanos. Se non ci riuscisse, il rischio è che la Spagna non esca dallo stallo politico-istituzionale in atto ormai da mesi.

I SONDAGGI

In base agli ultimi sondaggi diffusi dal quotidiano El Mundo, il Psoe ha perso terreno rispetto alle elezioni di aprile, e raccoglie il 27,6% delle intenzioni di voto, seguito dal Partito popolare (Pp) di Pablo Casado al 21,2% (+4,5 punti), Unidos Podemos di Pablo Iglesias Turrion al 12,6% (-1,7), tallonato da Vox di Santiago Abascal al 12% (+1,7) e Ciudadanos di Albert Rivera al 9,3% (- 6,6).

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