La tecnologia sostenibile parte da bisogni e persone

5 giugno 2019

Utilizzare la tecnologia per perseguire l’inclusione sociale di persone svantaggiate, ma facendo un piccolo, importante, passo in più: ovvero impostando la ricerca e lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche partendo dalle concrete esigenze di chi dovrà poi usarle, e non – come accade spesso – elaborando soluzioni generali, spesso complesse, che poi non è facile utilizzare.
E’ il concetto di “innovazione responsabile” che ispira il lavoro di Monica Gori coordinatrice l’U-Vip lab (Unit for visually impaired people), dell’Iit, l’istituto italiano di tecnologia. “Ci sono tante soluzioni che sfortunatamente vengono prima sviluppate e poi successivamente validate – spiega la ricercatrice – Quello che facciamo noi è diverso: partiamo dalle ricerche scientifiche che ci dicono quali sono le problematiche, e lavorando con le persone, gli utenti o i riabilitatori, sviluppiamo tecnologia che sia loro di supporto; che parta dalle loro esigenze e venga validata con loro. La proviamo quindi nella società e successivamente la validiamo a livello scientifico”.

A Genova, nel corso dell’ultima tappa del giro d’Italia del Salone della Csr e dell’innovazione sociale, Gori ha presentato il lavoro svolto da Iit a favore dei bambini non vedenti. Si tratta di un ambito conosciuto ed esplorato da tempo dove la tecnologia è già ampiamente diffusa. Ma – come ha sottolineato la ricercatrice – non è questione di numero di brevetti, ma di come l’innovazione viene concepita riguardo la persona per essere poi davvero utile. “In questo ambito, la maggior parte delle tecnologie sono per adulti e sfortunatamente non sono utilizzate: spesso sono molto ingombrati e molto complicate da utilizzare – prosegue Gori – Ma per i bambini c’è poi una vera mancanza. Non ci sono tecnologie per bambini con disabilità visiva: siamo stati i primi a sviluppare una tecnologia per bimbi non vedente che potesse essere riabilitativa e adatta a loro”.

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La soluzione su cui lavora l’U-Vip lab può essere descritta come un sensore che con segnali sonori guida il bambino nella sua interazione con lo spazio e le persone che sono intorno. Ma è molto di più. “Questa soluzione si chiama Abbi, Audio Bracelet for Blind Interaction – dice Gori – è stata sviluppata in collaborazione con il territorio ligure e con il Chiossone di Genova in particolare. Aiuta il bambino a capire come è posizionato il proprio corpo e come sono posizionati gli altri. Grazie al braccialetto per loro è possibile giocare in gruppo, sia con bambini con disabilità visiva sia con bambini vedenti, abbattendo quindi le barriere in modo naturale”. Altro punto caratterizzante del progetto è proprio il raccordo con le altre realtà del territorio. Raccordo che rafforza la visione strategica di innovazione sostenibile. “Per realizzare la tecnologia sostenibile – conclude Monica Gori – bisogna lavorare con il territori, bisogna avere il supporto delle persone degli enti e degli utenti della tecnologia che poi sviluppiamo”.

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