L’altra America di Mark Bradford

23 maggio 2017

I luoghi comuni non sono il miglior modo per avvicinarsi a un progetto artistico complesso come quello che Mark Bradford ha realizzato per il Padiglione degli Stati Uniti alla 57esima Biennale d’arte di Venezia. È però inevitabile, approcciando lo spazio monumentale che l’artista ha modificato profondamente dall’interno, pensare a come il lavoro di Bradford racconti un storia molto diversa da quella che si può ascoltare oggi guardando, per esempio, alla Casa Bianca. E dunque per provare a dare una sintesi di quello che succede nella mostra “Tomorrow Is Another Day”, parlare di “altra America” può avere senso, perché qui le istanze civili e la consapevolezza – nelle parole dell’artista- “del crollo del baricentro sociale e delle istituzioni un tempo stabili” sono fortissimi. Pur senza perdere quella dose di leggerezza che fa più grande ed efficace il lavoro. Perché Marc Bradford riflette sugli Stati Uniti – forse anche su tutto l’Occidente, per traslato – partendo però dalla propria persona, e così la grande installazione che pende dal soffitto nella prima stanza e costringe il pubblico a passaggi perimetrali è tanto una metafora del collasso sociale quanto un’immagine dell’artista come creatore di nuove possibilità.

Ancora più evidente la presenza della sua vita personale nella nuova serie di dipinti realizzati con le cartine per la permanente da salone di bellezza, luogo nel quale Bradford ha lavorato a lungo insieme alla madre. Il tutto poi culmina in una Medusa fatta di ciocche di capelli, come a dire che, pure tra tinture e shampoo, non tutto è pacificato. Tra altri esempi di come la pittura astratta possa rinnovarsi ancora e interventi architettonici che fanno scomparire il neoclassicismo dell’architettura del Padiglione, Bradford mischia domande esistenziali e suggestioni paurose a lampi di speranza: “Ci sarà dolore – dice – ma ci sarà anche bellezza”. E così nell’ultima stanza Marc Bradford ripropone il video del 2005 “Niagara” nel quale un ex vicino di casa dell’artista si allontana ancheggiando come Marilyn Monroe nel film del 1953. Un lavoro che parla di sessualità e di diritti, di affermazione e di sfida alla violenza, ma anche di felicità, seppur complessa. A completare il quadro, e a dare una possibile cifra del lavoro di Bradford, anche il progetto “Process Collettivo”, realizzato con l’associazione Rio Terà dei Pensieri e dedicato al sostegno per i detenuti veneziani. E la Biennale questa volta passa anche dalle carceri.

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