L’Ue si sveglia (in ritardo), in parlamento “caso” Catalogna

L’Ue si sveglia (in ritardo), in parlamento “caso” Catalogna
3 ottobre 2017

Il portavoce capo della Commissione europea, Margaritis Schinas, ha passato tre quarti d’ora sulla graticola durante il briefing quotidiano dell’Esecutivo comunitario, a Bruxelles, tutto dedicato alla situazione in Catalogna dopo il referendum sull’indipendenza che il governo di Madrid ha cercato, con la maniera dura ma senza successo, di impedire. C’era grande attesa della reazione della Commissione in Catalogna, e la Tv locale ha trasmesso tutto il briefing in diretta, con traduzione simultanea in catalano. Quasi tutte le domande dei giornalisti riguardavano la mancata condanna esplicita e diretta, da parte della Commissione, dell’uso della forza da parte della polizia spagnola contro gli elettori in fila per votare, che hanno opposto una ben preparata resistenza non violenta alla repressione. Il portavoce, tuttavia, si è trincerato dietro la dichiarazione ufficiale della Commissione che aveva letto all’inizio del briefing, senza dire una sola parola in più: che il referendum era “illegale secondo la Costituzione spagnola”; che si tratta di “una questione interna alla Spagna”, che deve essere “regolata nel rispetto dell’ordine costituzionale spagnolo”; che comunque, se anche fosse legale il referendum, la secessione significherebbe per la Catalogna ritrovarsi fuori dall’Ue (e dover rinegoziare l’adesione); e che oggi abbiamo bisogno di unità e di stabilità, e non di frammentazione e nuove divisioni.

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Tutte cose già sentite nei giorni scorsi. Di nuovo ci sono solo l’appello “a tutti gli attori coinvolti a uscire al più presto dalla contrapposizione per ritornare al dialogo”, e l’affermazione secondo cui “la violenza non può mai essere strumento della politica”. Frasi che ci si sarebbe potuto aspettare nei giorni scorsi, prima del referendum. Ma che oggi suonano timide e tardive, e ancora fin troppo generiche dopo i feriti a centinaia di ieri. Perché la violenza è stata usata solo da una parte; la stessa parte che aveva chiuso finora ogni spiraglio di dialogo, trattando alla stregua di una semplice questione di ordine pubblico un enorme, delicato e controverso problema politico che potrebbe cambiare per sempre il futuro della Spagna. Ma invece di riconoscere questa asimmetria, la Commissione europea conclude la sua dichiarazione con una nuova apertura di credito al premier spagnolo che suona quasi beffarda per i catalani: “Abbiamo fiducia nella capacità del primo ministro Mariano Rajoy di gestire questo processo delicato nel pieno rispetto della Costituzione spagnola e dei diritti fondamentali dei cittadini”.

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“Ho seguito le dichiarazioni del portavoce, in cui sembra che la Commissione abbia un po’ cambiato tono”, ma è un tono “molto timido e moderato, privo di coraggio per quanto riguarda la violenza che è stata usata dalla polizia in Catalogna ieri”, ha osservato il presidente del governo catalano, Carles Puigdemont. “Non per questo, comunque – ha aggiunto -, smetterò di fare appello a quella che credo sia la responsabilità dell’Unione europea, almeno nel nome dei diritti fondamentali”. La questione catalana, comunque, non è già più trattata come un mero affare di politica interna, come avrebbe voluto a tutti costi Rajoy. L’Europarlamento ha deciso (dopo aver bocciato la proposta giovedì scorso) che dedicherà un dibattito in plenaria mercoledì pomeriggio a Strasburgo al tema “Costituzione, stato di diritto e diritti fondamentali in Spagna alla luce degli eventi in Catalogna”. E già oggi, durante il dibattito in aula sui negoziati della Brexit, non è escluso che gli eurodeputati sollecitino dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, le risposte che finora ha accuratamente evitato di dare.

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