Processo a leader indipendentisti catalani, pene fino a 25 anni di carcere

12 febbraio 2019

Si è aperto a Madrid il processo a dodici leader separatisti catalani per il loro ruolo nel tentativo di secessione del 2017. Gli imputati sono seduti su delle panche in legno, di fronte ai giudici della Corte Suprema di Madrid e il processo è trasmesso in diretta televisiva e via streaming sui siti dei principali media spagnoli. Per gli accusati di ribellione, sedizione e malversazione, la procura chiede pene dai 7 ai 25 anni di carcere: è il culmine di quella “via giudiziaria” che il governo dell’ex premier Mariano Rajoy ha scelto come strumento di auspicata normalizzazione. Una “applicazione ordinaria della giustizia”, come specificato dall’ambasciatore a Roma, l’ex ministro Alfonso Dastìs, che ha incontrato alcuni giornalisti a Roma per motivare la posizione di Madrid nella vicenda. “I leader indipendentisti non hanno mai subito alcun impedimento, né legale né politico,”, argomenta un dossier presentato dall’ambasciata, “gli eventi di settembre e ottobre 2017 entrarono invece in contrasto con la legealità”.

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Questo non risolve il problema politico di fondo: nessuno è in grado di prevedere che cosa succederà il giorno dopo la sentenza, né quali effetti avrà lo svolgimento del processo sul faticoso quanto zoppicante dialogo avviato fra Madrid e Barcellona. Alla sbarra si trovano l’ex vicepresidente regionale Oriol Junqueras e gli ex ministri Raul Romeva, Josep Rull, Jordi Turull, Meritxell Borràs, Dolors Bassa, Carles Mundò, Joaquim Forn e Santi Vila; l’ex presidente del Parlamento regionale, Carme Forcadell; e i due leader delle associazioni indipendentiste Jordi Sanchez e Jordi Cuixart. La pena più grave è stata richiesta per Junqueras, 25 anni; 17 per Forcadell, Sanchez e Cuixart, 16 per Romeva, Rull, Turull, Bassa e Forn; non è tuttavia detto che la Procura mantenga le stesse richieste fino alla fine del processo, anche se un cambiamento nei capi di imputazione appare allo stato improbabile.

Per il premier socialista Pedro Sanchez, la situazione è tutt’altro che semplice: per finire la legislatura il suo governo ha bisogno dei voti dei partiti indipendentisti e nazionalisti baschi e catalani, ma il suo è un governo di minoranza che non è in grado di permettersi concessioni nei confronti della Generalitat, pena l’attacco di una destra trasversale (e di una parte degli stessi socialisti) che ha fatto domenica le prove generali con la manifestazione di Madrid. Se non riuscirà a far approvare il bilancio, Sanchez dovrà quindi convocare nuove elezioni, probabilmente ad aprile – quando il processo, verosimilmente, sarà ancora in corso: ogni eventuale richiesta e concessione di un indulto ai condannati sarà quindi incombenza dell’esecutivo successivo – e dunque potrebbe rivelarsi un’ipotesi percorribile solo nel caso in cui la sinistra di Psoe e Podemos riuscisse a conquistare la maggioranza.

Nel frattempo, l’esecutivo è costretto a navigare a vista mentre gli indipendentisti e l’ultradestra di Vox – che si è costituita accusa di parte civile – si preparano a sfruttare il processo: i primi per cercare di allargare la propria base sociale e raggiungere il sospirati 51%, i secondi in funzione elettorale, sia per le europee ma soprattutto in vista delle regionali e le amministrative. Quanto al processo in sé, verrà trasmesso nella sua totalità in streaming per dimostrare la correttezza del procedimento, anche alla luce del certo ricorso degli indipendentisti alla Corte di Giustizia europea, in caso di condanna; d’altro canto, la stessa Corte Suprema si trova in una posizione vulnerabile dopo la recente e controversa sentenza sulle ipoteche bancarie che ha suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica.

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Anche i giudici quindi non sembrano avere molti margini di manovra, “abbandonati” da quella stessa politica che gli ha volentieri affidato la patata bollente di una crisi che certo non è risolvibile per via giudiziaria, e per di più alle prese con un processo estremamente mediatizzato – con un partito politico, Vox, presente in aula come parte civile. Se è vero che formalmente processo e negoziati, giustizia e politico, seguono due percorsi separati, come ha sottolineato anche l’Ambasciatore Dastis, è ovvio che i due percorsi siano destinati ad influenzarsi reciprocamente: ma l’esito finale, cioè lo scenario che si aprirà il giorno dopo la sentenza, probabilmente in autunno, rimane imprevedibile.

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