Colpo alla rete di Messina Denaro, in manette anche il ‘re dell’eolico’

13 marzo 2018

Il potere e i soldi. Radicato il primo per continuare a preservare una lunga latitanza basata su regole ferree e su un controllo stretto del territorio. Molti i secondi per finanziarla e garantire un dominio economico su tutti i settori, dal legno alla speculazione immobiliare, fino a quelli innovativi e del rinnovabile. Non e’ una novita’ l’influenza e ‘l’eclettismo’ negli affari di Matteo Messina Denaro, da 25 anni ricercato senza tregua dalle forze dell’ordine. Nell’operazione finiscono in manette il re dell’eolico nel centro-sud Vito Nicastri, gia’ sorvegliato speciale, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, il fratello Roberto, e altri 10 tra capi e gregari della mafia trapanese. Un altro tassello di quella progressiva manovra a tenaglia che sta facendo terra bruciata attorno a capomafia di Castelvetrano. Secondo gli inquirenti che hanno raccolto le dichiarazioni di del pentito Lorenzo Cimarosa, cugino del capomafia, di Nicastri era anche la borsa piena di soldi provento di un affare e finiti nelle casse delle cosche, legati a un grande vigneto che aveva acquistato a un’asta giudiziaria e riconducibile agli eredi degli ex esattori di Salemi Nino e Ignazio Salvo, Il blitz dei carabinieri e della Dia e’ il culmine dell’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido. Tra gli arrestati i boss delle cosche di Vita e Salemi, Salvatore Crimi e Michele Gucciardi e i postini che assicurano la circolazione dei ‘pizzini’, snodi cruciali della rete di comunicazione e di comando di Messina Denaro. Le indagini hanno consentito di individuare in Crimi e in Gucciardi i “capi famiglia della Cosa nostra di Vita e Salemi e di assicurare alla giustizia diversi gregari”, dicono gli inquirenti. Queste persone “servendosi anche di professionisti nell’ambito di consulenze agricole e immobiliari, sono riusciti, attraverso la Agri Innovazioni s.r.l., società di fatto riconducibile al pregiudicato mafioso Girolamo Scandariato, a realizzare notevoli investimenti in colture innovative per la produzione di legname”.

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I due importanti ”uomini d’onore” hanno “avuto un ruolo centrale nella gestione di una grossa operazione di speculazione immobiliare realizzata attraverso l’acquisto in un’asta giudiziaria di una vasta tenuta agricola di oltre sessanta ettari (sita in località Pionica del comune di Santa Ninfa) e la successiva rivendita alla Vieffe, società agricola riconducibile ad imprenditori di San Giuseppe Jato, vicini ad ambienti mafiosi locali”, dicono i Carabinieri del Comando provinciale di Trapani, guidati dal colonnello Stefano Russo, che hanno condotto l’operazione con il Ros e la Dia. L’azienda agricola, di proprietà della moglie di Antonio Salvo, nipote dei noti esattori salemitani, i cugini Nino e Ignazio Salvo, “sotto la regia di Cosa nostra trapanese, veniva formalmente acquistata all’asta da Roberto Nicastri, ritenuto prestanome del fratello Vito, noto imprenditore del settore eolico, già sorvegliato speciale di p.s., e arrestato oggi, per poi essere ceduta alla Vieffe per l’importo di 530.000 euro”. Il prezzo di vendita reale dei terreni “è stato – per gli inquirenti – notevolmente superiore a quello dichiarato negli atti notarili e la differenza, pari a oltre duecentomila euro, sarebbe stata incassata dagli uomini di cosa nostra per la loro attività di ”intermediazione immobiliare”. Ad aiutare gli investigatori nelle indagini sono state anche le dichiarazioni del collaborante Lorenzo Cimarosa “corroborate dall’attività d’intercettazione svolta dagli inquirenti”, secondo cui “parte di tale somma sarebbe stata destinata da Gucciardi e Gondola, già reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, al mantenimento del latitante Matteo Messina Denaro, che l’avrebbe ricevuta per il tramite proprio di Cimarosa e Franceco Guttadauro, nipote prediletto del latitante, in atto detenuto”.

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Gucciardi “avrebbe inoltre costretto l’originaria proprietaria dei terreni a rinunciare ai propri diritti di reimpianto dei vigneti insistenti sulla tenuta agricola, onde consentire agli imprenditori di San Giuseppe Jato di ottenere finanziamenti comunitari per seicentomila euro circa, in parte distratti per pagare il prezzo d’acquisto della tenuta stessa”. Sempre Michele Gucciardi, secondo gli inquirenti, “era riuscito a reinvestire il denaro della famiglia mafiosa di Salemi in terreni già riconducibili al mafioso Salvatore Miceli, acquistati formalmente dalla moglie di Sergio Giglio, recentemente condannato per associazione mafiosa, perché coinvolto nella veicolazione dei ”pizzini” per Matteo Messina Denaro”. Salvatore Crimi, invece, “attraverso la società Aerre s.a.s. di proprietà della moglie, è riuscito ad investire nel campo della ristorazione, aprendo un ristorante in località Ummari, denominato ”La Pergola””. Girolamo Scandariato, inoltre, viene chiamato a rispondere anche del reato di estorsione aggravata da metodo mafioso “per aver svolto il ruolo di mediatore mafioso in un’estorsione perpetrata ai danni di alcuni imprenditori che avevano acquistato un terreno agricolo in Castelvetrano, sul quale avrebbe vantato diritti di proprietà (occulta) il defunto boss mafioso Totò Riina”. Le società Aerre s.a.s., nonché il 25% del capitale sociale della Agri Innovazioni (quota fittiziamente intestata a Nicolò Scandariato, figlio di Girolamo) sono state poste a sequestro preventivo “finalizzato alla confisca poiché, seppur fittiziamente intestate a terzi, in realtà sono risultate riconducibili a soggetti facenti parte dell’organizzazione mafiosa”. Il sequestro della Vieffe soc. agr. “si è invece reso necessario poiché si è accertato essere un’impresa, a tutti gli effetti, a partecipazione mafiosa, fungendo da strumento per il perseguimento dei fini economici dell’organizzazione criminale”.

GLI INVESTIGATORI

“In questa indagine c’e’ la mafia trapanese in tutta la sua complessita’, ma emerge anche una relazione stretta con le cosche palermitane”. Lo ha detto il colonnello Stefano Russo, comandante provinciale di Trapani durante un incontro con la stampa sull’operazione “Pionica”. L’indagine ha condotto all’arresto imprenditori, boss e gregari legati a Matteo Messina Denaro e che hanno finanziato la sua latitanza, e ha evidenziato il meccanismo di acquisizione di terreni, a partire dalle aste giudiziarie, e prende spunto dalla compravendita di diversi ettari di vigneto di un nipote di Ignazio Salvo, sposato con una parente del trafficante di droga Salvatore Miceli. “La speculazione immobiliare portata avanti dall’organizzazione mafiosa – ha continuato – nella sua complessita’, rispettando le gerarchie del capomandamenti ha un doppio valore: economico e simbolico. I terreni di 60 ettari e 100 ettari erano dei congiunti dei Salvo. Per Cosa nostra quei terreni erano cosa loro”. Durante le indagini alcuni degli indagati avrebbero bonificato i luoghi in cui si incontravano per la ricerca di microspie e segnalatori Gps. “Sono accorgimenti – ha aggiunto Diego Berlingieri del Nucleo investigativo dei carabinieri di Trapani – che ci dimostrano come resti al passo con i tempi, anche per la tutela dell’organizzazione e non abbandona le caratteristiche tipiche di Cosa nostra”. Utili ancora una volta le dichiarazioni del collaboratore di giustizia morto lo scorso anno Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del latitante Messina Denaro. In seguito all’arresto nell’ambito dell’operazione Eden del 13 dicembre 2013 l’uomo ha ricostruito l’acquisto dei terreni alle aste giudiziarie parlando di una “borsa piena di soldi” che dal re dell’eolico arrestato Vito Nicastri sarebbe passata a Michele Gucciardi (gia’ arrestato nell’operazione Ermes e condannato) poi allo stesso Cimarosa e infine a Francesco Guttadauro. Da li’ la borsa, che avrebbe contenuto 200 mila euro, sarebbe finita nelle mani di Messina Denaro. “Cimarosa funge da tramite nel 2012 – continua Russo – e ci dice di non aver aperto la borsa. Segnali emergevano gia’ da alcune conversazioni intercorse tra lo stesso Gucciardi e Vito Gondola”. Recentemente la quarta sezione della Corte d’Appello di Palermo aveva dichiarato nulle le rivelazioni di Cimarosa perche’ non era stato sottoposto a incidente probatorio nonostante i pm conoscessero l’evoluzione delle malattie che lo hanno condotto alla morte. In questo caso le dichiarazioni sono invece precedenti ai primi malori del Cimarosa.

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