Mafia, chiesti 12 anni di carcere per il “re dell’eolico” Nicastri

Mafia, chiesti 12 anni di carcere per il “re dell’eolico” Nicastri
Vito Nicastri detto il "re dell'eolico"
24 aprile 2019

Il Pm della Dda di Palermo Gianluca De Leo ha chiesto la condanna a 12 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni per l’imprenditore Vito Nicastri detto il “re dell’eolico”. Nicastri e’ stato coinvolto nell’inchiesta della Procura di Palermo su un giro di mazzette alla Regione che ha per protagonista Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia ora vicino alla Lega. L’inchiesta ha una tranche romana che riguarda il sottosegretario della Lega Armando Siri, accusato di corruzione.

Nicastri era stato arrestato lo scorso anno. Per i pm sarebbe vicino al boss Matteo Messina Denaro a cui avrebbe finanziato la latitanza. All’imprenditore vennero concessi i domiciliari, ma da casa “il re dell’eolico” continuava a delinquere e fare affari violando i divieti di comunicazione imposti dal giudice. La circostanza e’ venuta fuori proprio nell’indagine sulle mazzette alla Regione, nel frattempo aperta dalla Procura, che coinvolge anche Arata e alcuni dirigenti regionali. E ha spinto la Procura a chiedere per l’imprenditore il ripristino della custodia cautelare in carcere. Mentre i pm continuavano a indagare sulle tangenti che sarebbero state pagate per sbloccare procedimenti amministrativi legati alle energie rinnovabili, proseguiva il processo in abbreviato per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia in cui Nicastri e’ stato imputato dopo l’arresto dell’anno scorso. Con l’imprenditore sono finiti davanti al gup il fratello Roberto, anche lui accusato di concorso in associazione mafiosa, per cui oggi sono stati invocati 10 anni. Imputati anche Melchiorre Leone e Girolamo Scannariato, per cui sono stati chiesti 12 anni e Giuseppe Bellitti, per cui e’ stata sollecitata la condanna a 10 anni. Sono tutti accusati di associazione mafiosa.

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COSI’ ARATA FECE INSERIRE BIOMETANO IN CONTRATTO GOVERNO

Un presunto scambio di favori fra Paolo Arata, il consigliere per l’energia di Matteo Salvini, e Armando Siri, sullo sfondo del business del biometano nella provincia di Trapani. E’ lo scenario disegnato su ‘Repubblica’ da un resoconto investigativo (soprattutto intercettazioni) che riferisce il tentativo di Arata di superare le resistenze dei grillini in Sicilia, in particolare di una deputata regionale, Valentina Palmeri, che con le sue denunce “stava facendo saltare il business”, che lega Arata al suo socio Vito Nicastri, imprenditore vicino all’entourage del latitante Matteo Messina Denaro e con il quale aveva fatto investimenti per realizzare un impianto a Calatafimi. Nei giorni della nascita del governo Lega-Cinque Stelle, sempre secondo la ricostruzione di Repubblica basata su atti investigativi, Arata avrebbe contattato Armando Siri, per inserire nel programma del nuovo governo un passaggio sul biometano.

Cosa che in realtà si ritrova nel documento in cui si spiega che “verranno valutate sperimentazioni sul ciclo di vita di impianti a biometano”. E – secondo ‘Repubblica’ – “quando Siri comunicò che era cosa fatta, Arata esultò. ‘Così li freghiamo’ “. Non solo:quando la Palmeri chiese gli atti alla Regione “Arata aveva fedelissimi anche lì, pagati a suon di mazzette, e le carte sul biometano non vennero fatte vedere alla deputata. Intanto, però, le microspie della Dia di Trapani registravano ogni parola”. Poi dopo qualche giorno – secondo questa ricostruzione “fu Siri a chiedere aiuto all’amico Arata, puntava a un posto di ministro…E il consigliere di Salvini non se lo fece ripetere, ottenendo per Siri quel posto di sottosegretario alle Infrastrutture che oggi occupa”. Il giornale riferisce anche un altro episodio che portò “all’improvviso, il panico a casa Arata”. L’uomo infatti “si insospettì, fece fare una bonifica nella sua auto e trovò una microspia. Un altro giorno, scoprì di essere pedinato. Ma non si preoccupò più di tanto: ‘Saranno i servizi segreti – sussurrò – per i nostri amici che vengono a casa’. E continuò a fare i suoi affari in Sicilia”.

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