Mafia e corruzione, torna in carcere il re dell’eolico Nicastri

Mafia e corruzione, torna in carcere il re dell’eolico Nicastri
Vito Nicastri detto il "re dell'eolico"
18 aprile 2019

E’ tornato in carcere Vito Nicastri, imprenditore di Alcamo (Tp) soprannominato il “signore del vento” per avere accumulato una fortuna grazie all’eolico e alle energie pulite. Nicastri, che era ai domiciliari con l’accusa di concorso in associazione mafiosa dal 2018, e’ considerato fedelissimo del boss Matteo Messina ed e’ al centro di una inchiesta su un giro di mazzette che coinvolge diversi funzionari della Regione siciliana contattati per sbloccare procedimenti amministrativi legati alle energie rinnovabili. Indagati con Nicastri tra gli altri, anche Paolo Arata, ex deputato di Fi, ora vicino alla Lega e con interessi nelle rinnovabili e i figli di Nicastri e Arata.

L’inchiesta e’ coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dal pm Gianluca De Leo. Nicastri, dai domiciliari, violando le prescrizioni dei giudici, avrebbe continuato a comunicare con l’esterno e fare affari. Video girati dalla Dia lo ritraggono mentre parla al balcone dei progetti sull’eolico fermi alla Regione. La Procura, che lo teneva sotto controllo, ha chiesto e ottenuto l’aggravamento della misura cautelare. Indagando su Nicastri e anche grazie alle dichiarazioni di diversi pentiti, i magistrati hanno ricostruito un giro di corruzioni di funzionari regionali siciliani finalizzati a ottenere permessi per progetti legati al mini eolico e alla realizzazione di due impianti di biometano.

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COINVOLTI ANCHE TRE FUNZIONARI DELLA REGIONE

Sarebbero tre i pubblici ufficiali al momento coinvolti nell’indagine per corruzione per l’esercizio delle funzioni in cui sono indagati, tra gli altri, l’ex deputato di Fi Paolo Arata, ora influente consulente del Carroccio, e l’imprenditore mafioso Vito Nicastri: si tratta di Alberto Tinnirello, ex funzionario del Dipartimento Energia della Regione, Giacomo Causarano, funzionario dell’assessorato all’Energia, e il funzionario del Comune di Calatafimi Angelo Mistretta. Tinnirello avrebbe incassato una tangente, non quantificata dai pm, per dare gli informazioni sullo stato delle pratiche amministrative inerenti la richiesta di autorizzazione integrata ambientale per la costruzione e l’esercizio degli impianti di bio-metano di Franconfonte e Calatafimi -Segesta della Solgesta s.r.l., di proprieta’ di Arata e Nicastri.

Causarano avrebbe avuto 11mila euro, mazzetta mascherata da pagamento di una prestazione professionale resa dal figlio, pure lui indagato. In cambio avrebbe passato informazioni sullo stato delle pratiche amministrative inerenti le istanze relative agli impianti di produzione di energia rinnovabile. Mistretta avrebbe ricevuto 115mila euro per rilasciare una autorizzazione alla costruzioni di impianti di produzione di energia alternativa riferibili alle societa’ di Arata e Nicastri. L’inchiesta dei pm di Palermo, una cui tranche e’ stata inviata a Roma perche’ riguarda una presunta tangente incassata nella Capitale dal sottosegretario alla Lega Armando Siri, e’ nata dall’indagine sull’imprenditore mafioso Francesco Isca, anche lui socio di Nicastri.

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CHI E’ NICASTRI

Arrestato negli anni ’90, tornato in cella nel 2018, gia’ condannato a 4 anni per evasione fiscale, Vito Nicastri, imprenditore trapanese portato in carcere oggi, e’ uno dei primi ad avere puntato sulle energie rinnovabili che gli hanno consentito di accumulare una fortuna: il Financial Times lo defini’ anni fa ‘il signore del vento’. Per i pm sarebbe al centro di un giro di mazzette che coinvolge anche funzionari della Regione. Sei anni fa gli e’ stato sequestrato dalla Dia un patrimonio di circa un miliardo l’euro. Il pentito Lorenzo Cimarosa, nel frattempo morto, lo ha indicato come uno dei finanziatori della ormai piu’ che ventennale latitanza di Messina Denaro. Il collaboratore di giustizia ha raccontato di una borsa piena di soldi che Nicastri avrebbe fatto avere al capomafia attraverso un altro uomo d’onore, Michele Gucciardi.

Secondo gli inquirenti sarebbe un referente delle cosche, alle quali si rivolgeva per accaparrarsi i terreni su cui costruire gli impianti in Sicilia e Calabria in cambio di sub-appalti alle ditte a loro legate. Ha sempre mantenuto costanti contatti con la politica locale in uno “scenario sconfortante”, scrissero i giudici nel decreto di sequestro, fatto di “impressionanti condotte corruttive” che nel tempo coinvolsero funzionari regionali, del Demanio e delle servitu’ militari. Conosce bene la macchina regionale e ha rapporti con politici nazionali e siciliani. Partito da una cooperativa agricola, trasformatosi in idraulico ed elettricista per avviare aziende impegnate nella riparazione di impianti si e’ poi convertito diventando imprenditore leader per le energie alternative. Secondo le accuse fin dagli anni ’90 capi’ che la protezione della mafia era fondamentale per gli affari. Il suo ruolo e’ consistito nel fornire una facciata legale ai rapporti inconfessabili tra la grande imprenditoria e le cosche mafiose.

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