Stato-Mafia: il generale Subranni, il pentito e Agnese Borsellino

Stato-Mafia: il generale Subranni, il pentito e Agnese Borsellino
Il generale Antonio Subranni comandante del Ros dei carabinieri
22 settembre 2017

“Il pentito Francesco Di Carlo si riaffaccia sulla scena 34 anni 4 mesi e 3 giorni la scomparsa di Peppino Impastato. E a 15 anni dalle sue originarie dichiarazioni sul caso e’ ben sei interrogatori privi di qualunque riferimenti al sottoscritto, ai miei trascorsi professionali. E non e’ superfluo evidenziare anche che costui non ne ha parlato nemmeno davanti alla Corte di Assise che processo’ Badalamenti e Palazzolo per quel delitto!”. Voce roca e graffiante per il generale dei carabinieri Antonio Subranni, 85 anni, rende dichiarazioni spontanee al processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Riprende dunque dopo la pausa estiva – nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo – il procedimento dinanzi alla Corte di assise presieduta da Alfedo Montalto. L’accusa e’ rappresentata dai pm della Procura di Palermo Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia e dai sostituti della Direzione nazionale antimafia Francesco Del Bene e Nino Di Matteo, quest’ultimo applicato a questo processo. Subranni – imputato in questo processo di violenza e minacce a corpo politico dello Stato – dal 1990 al 1993 – e’ stato comandante del Ros dei carabinieri ed in precedenza aveva condotto le indagini proprio sul giovane esponente di Democrazia proletaria ucciso a Cinisi, il 9 Maggio 1978.  Di Carlo – rileva Subranni – nel corso di due udienze nel 2014 ha sostenuto che io sarei intervenuto su richiesta di Antonino Salvo per orientare le indagini, depistandole, per evitare conseguenze nei confronti di Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi. Peppino Impastato fu trovato morto lo stesso giorno in cui le brigate rosse, a Roma, uccisero li’onorevole Aldo Moro. Subranni descrive il clima di quegli anni e la scena del crimine faceva propendere per il suicidio.

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“Una tesi mai confutata anzi condivisa da magistrati e medici legali che intervennero sul posto”. “Mai il dott. Chinnici ebbe a dire alcunche’ sull’operato del sottoscritto – prosegue Subranni – e dopo la sua tragica scomparsa il dott. Caponnetto si occupo’ dell’inchiesta, ne chiese l’archiviazione e nulla ebbe, nemmeno lui, da dire sul mio operato; anzi, nel provvedimento da lui redatto, egli scrisse “Del resto, lo stesso Col. Subranni precisava di avere appreso “attraverso i contatti tenuti con l’Autorita’ Giudiziaria (aggiungo io, il dott. Chinnici), che “nel corso di ulteriori indagini erano venuti fuori elementi tali da far ritenere possibile una causale diversa da quella formulata con il rapporto”. Subranni – continua citando Caponetto – “nella successiva deposizione del 16 luglio 1982, lo stesso Col. Subranni, in termini ancora piu’ espliciti e con una lealta’ che gli fa onore, dichiarava: nella prima fase delle indagini, si ebbe il sospetto che l’Impastato mori’ nel momento in cui stava per collocare un ordigno esplosivo lungo la strada ferrata. Questi sospetti, pero’, vennero meno quando, in sede di indagini preliminari, svolte dai magistrati della Procura, emersero elementi che deponevano piu’ per l’omicidio che per una morte accidentale cagionata dall’ordigno esplosivo. Dalle indagini – prosegue il generale – a suo tempo svolte emerse in maniera certa che Impastato era seriamente e concretamente impegnato nella lotta contro il gruppo di mafia capeggiato da Gaetano Badalamenti” e che questi era accusato da “Impastato di una serie di illeciti?”.

IL GENERALE E LA SIGNORA BORSELLINO

“Ritornando alle dichiarazioni della signora Borsellino, sottolineo che ella parla di me, in modo direi “lapidario”, per la prima volta soltanto dopo 17 anni e 3 mesi dalla strage di via d’Amelio”, continua Subranni, rendendo dichiarazioni spontanee al processo sulla trattativa tra Stato e mafia. La signora Agnese, vedova del giudice Paolo Borsellino, aveva sostenuto di avere appreso dal marito, il 15 luglio 1992 (4 giorni prima della strage di via D’Amelio) che il generale Subranni era stato “punciutu” (punto, ndr), un modo per dire che era affiliato a cosa nostra. “La signora, tuttavia, era gia’ stata escussa dal pm di Caltanissetta, Cardella, in sede di indagini, in data 6 novembre 1992 (vale a dire a meno di 4 mesi dalla strage) ed, altresi’, il 23 marzo 1995, davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta… In quella sede, la signora Borsellino ha raccontato vari e motivati momenti di forte turbamento e di sfiducia attraversati dal marito proprio nei suoi ultimi giorni di vita, in relazione alla proposta dell’allora Ministro Scotti di candidarlo alla Superprocura ed in relazione ai rapporti con i suoi colleghi della Procura di Palermo”. “Osservo – prosegue Subranni – come, in quella sede, sia stato agevole, alla signora Borsellino, “sparare a zero” muovendo accuse pesanti in direzioni diverse e, specificamente, contro un determinato ambiente e su taluni suoi appartenenti e, di contro, non abbia avuto nulla, assolutamente nulla, da dire contro il sottoscritto, contro l’Arma dei Carabinieri, e contro il ROS”. Poi pero’ la “stoccata”. “Appare quantomeno strano che la signora – dice ancora il generale – non ebbe alcun timore di parlare dei colleghi del Procuratore, ed invece lo ebbe, e lo mantenne per oltre 17 anni, nei confronti del sottoscritto”. Poi Subranni, in conclusione, aggiunge: “Per ora mi limito a queste dichiarazioni sul tema, riservandomi eventualmente alcune puntualizzazioni ad esito di altre deposizioni testimoniali dalle quali emergera’ che le preoccupazioni del dr. Borsellino non erano per il sottoscritto, ma per suoi colleghi e per le infedelta’ dei suoi colleghi, ben rappresentate dalla frase “un amico mi ha tradito”!”.

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