Mafia, sequestro beni a commerciante di opere d’arte

15 novembre 2017

La Direzione Investigativa Antimafia di Trapani ha sequestrato un ingente quantitativo di beni dal valore di svariati milioni di euro riconducibili a Giovanni Franco Becchina, noto commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico-archeologico originario di Castelvetrano. Secondo la ricostruzione effettuata dagli investigatori, per oltre un trentennio Becchina avrebbe accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati clandestinamente nel più importante sito archeologico della Sicilia (Selinunte) da tombaroli al servizio di Cosa nostra. Alle indagini ha collaborato la polizia giudiziaria svizzera, attivata dalla Procura della Repubblica di Palermo con rogatoria internazionale. A gestire le attività illegali legate agli scavi clandestini ci sarebbe stato l’anziano patriarca mafioso Francesco Messina Denaro, poi sostituito dal figlio Matteo.
Secondo alcuni collaboratori di giustizia, ci sarebbe stato proprio l’anziano padrino dietro il furto del famoso Efebo di Selinute, statuetta di grandissimo valore storico archeologico trafugata negli anni Cinquanta. Emigrato dalla natia Castelvetrano in Svizzera, dopo aver subìto una procedura fallimentare, nel 1976, Becchina a Basilea ha trovato lavoro come impiegato in una struttura alberghiera. In seguito intraprese l’attività di commercio di opere d’arte e reperti archeologici. Già nel 1992, sulla base delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia che lo indicavano come vicino sia alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, per conto della quale avrebbe trafficato reperti archeologici, Becchina fu indagato per concorso in associazione mafiosa. A metà degli anni Novanta, divenuto ormai un affermato uomo d’affari, Becchina tornò in Sicilia avviando altre attività imprenditoriali edili. Il collaboratore di giustizia Brusca, nel confermare gli interessi economici dei Messina Denaro nel traffico dei reperti archeologici, ha raccontato che fu Riina a indirizzarlo dal latitante castelvetranese, quando, nei primi anni Novanta, ebbe necessità di procurarsi un importante reperto archeologico, che avrebbe voluto scambiare con lo Stato italiano per ottenere benefici carcerari per il padre.

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