Malattia di Crohn: nuovo approccio potrebbe rivoluzionare le cure

14 dicembre 2017

Un nuovo approccio diagnostico e terapeutico potrebbe rivoluzionare le strategie di cura della malattia di Crohn, patologia infiammatoria intestinale che colpisce prevalentemente in età giovanile e dopo i 65 anni. Lo ha evidenziato uno studio internazionale cui hanno preso parte anche ricercatori italiani. Fra loro, Alessandro Armuzzi, professore associato di Gastroenterologia al Policlinico universitario Gemelli di Roma. “La malattia di Crohn è una malattia infiammatoria cronica intestinale caratterizzata da periodi di infiammazione alternati a periodi di remissione che porta inesorabilmente a un progressivo danno intestinale che poi si ripercuote con una aumentata incidenza di complicanze. È stato recentemente pubblicato su una rivista prestigiosa, Lancet, uno studio che ha documentato come adottando un certo tipo di strategia si ha una maggiore guarigione mucosale nei pazienti con malattia di Crohn. “Si chiama studio Calm, è uno studio internazionale multicentrico che ha coinvolto Europa e Canada i pazienti che non avevano mai testato terapie immunisoppressive o biologiche sono stati tutti trattati all’inizio con cortisone e poi randomizzati, suddivisi in due bracci per un totale di 244 pazienti. Nel braccio di strategia tradizionale, la potenza di terapia veniva aumentata in relazione alla sintomatologia del paziente, nell’altro braccio, quello dello stretto monitoraggio i pazienti ricevevano un aumento di potenza di terapia in relazione alla positività di marker oggettivi di infiammazione, quindi non solo sulla base dei sintomi. “Dopo un anno di questo studio i pazienti che erano entrati nel braccio attivo hanno raggiunto un significativo tasso di maggiore guarigione endoscopica, guarigione cioè delle ulcere all’endoscopia rispetto ai pazienti che venivano trattati con l’approccio tradizionale. Non si tratta di una apertura a nuovi trattamenti ma a nuovi algoritmi di trattamento perché non sono stati usati nuovi farmaci ma è il modo in cui si usano e in cui si monitorizza il paziente che ha fatto vedere che probabilmente questa è la via che nel futuro seguiremo per gestire i nostri pazienti”.

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