Manovra, attesa Ue per quel che dirà Tria all’Eurogruppo

Manovra, attesa Ue per quel che dirà Tria all’Eurogruppo
1 ottobre 2018

La Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, che è stata varata del Consiglio dei ministri di giovedì scorso e riassume il programma del governo italiano per la manovra di bilancio, non sarà ancora sul tavolo dell’Eurogruppo alla riunione di oggi in Lussemburgo; ma a Bruxelles viene dato per sicuro che se ne parlerà comunque, a margine dei lavori, e soprattutto sarà questa la prima occasione per il ministro italiano dell’Economia, Giovanni Tria, di parlarne a quattr’occhi con il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, e con il vicepresidente della Commissione per l’Euro, Valdis Dombrovskis.

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Ed è alquanto probabile che spiegazioni e chiarimenti vengano chiesti a Tria anche da alcuni dei suoi colleghi ministri, a cominciare da quelli dei paesi “rigoristi” (Germania e blocco nordico). L’intenzione dichiarata dal governo di lasciar aumentare il rapporto deficit/Pil nominale fino al 2,4% (invece dell’1,6% che sarebbe andato bene alla Commissione europea e che Tria avrebbe voluto mantenere nella “nota”), è stata naturalmente vista da Bruxelles come un tentativo di sottrarsi, almeno in parte, alle regole dell’Eurozona; anche se il vicepremier Luigi Di Maio si è affrettato chiarire di non volere lo scontro ma il dialogo con la Commissione, guardiana di quelle regole.

Il ministro Tria si trova nella scomoda posizione di dover spiegare e difendere una manovra che lui avrebbe voluto più in linea con le richieste di Bruxelles, e che ora – nella sua versione più radicale uscita dal Cdm di venerdì e diventata ormai una bandiera per il M5s, con l’appoggio della Lega – appare inaccettabile per l’Esecutivo comunitario. I portavoce della Commissione, per ora, sono rimasti estremamente abbottonati: “Attendiamo la presentazione delle leggi di bilancio degli Stati membri entro il 15 ottobre, come ogni anno; e quando arriverà il documento programmatico di bilancio italiano, lo analizzeremo, come quello di qualsiasi altro paese, e faremo i nostri commenti entro la fine di novembre”, si sono limitati a dire nei giorni scorsi, ricordando le procedure del cosiddetto “semestre europeo”.

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A dare più colore e qualche indicazione in più sulle prime reazioni da Bruxelles, per fortuna, è stato proprio il commissario Pierre Moscovici, che venerdì mattina, in un’intervista alla Tv francese Bfm si è mostrato conciliante e pronto a discutere. Ha detto di non essere affato “nello spirito” di prospettare un ricorso alle sanzioni contro l’Italia; sanzioni previste dalle regole dell’Eurozona ma che, ha ricordato, “non sono mai state applicate” contro nessuno”. “Vedrò il ministro Tria lunedì a Lussemburgo, e nel mio dialogo con le autorità italiane, che inizia ora, farò in modo che l’Italia resti nello spirito comune”, ha detto Moscovici, e ha aggiunto: “Non abbiamo interesse a una crisi tra la Commissione e l’Italia; nessuno ha interesse a una cosa del genere, perché l’Italia è un paese importante della zona euro. Ma non abbiamo nemmeno interesse – ha osservato – al fatto che l’Italia non rispetti le regole e che non riduca il suo debito pubblico, che resta esplosivo”.

A Bruxelles gli osservatori più attenti sembrano aver capito comunque una cosa: che questa è stata una dimostrazione di forza, riuscita, negli equilibri interni di governo da parte di Di Maio e del M5s, dopo che erano stati a lungo eclissati dall’iperattivismo anti immigrazione dell’altro vicepremier e leader della Lega, Mattero Salvini. Non pochi avevano cominciato a sperare, negli uffici comunitari, che l’offensiva sovranista e populista del governo gialloverde impersonata da Salvini, così rumorosa e aggressiva, sarebbe rimasta confinata alla crisi migratoria, mentre sul terreno dei conti pubblici sarebbero stati i ministri “tecnici” come Tria e Moavero Milanesi a evitare lo strappo e a garantire una certa continuità.

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La posizione del governo giallo verde potrebbe essere molto più di un tentativo di “strappare qualcosa in più”, da ricondurre alla normalità con qualche concessione e minacce più o meno velate, e con il ricatto degli attacchi dei mercati. Quella dell’Italia, in effetti, potrebbe diventare una vera e propria sfida alle regole del Patto di Stabilità riformato, perché non accetta il punto di partenza di quelle regole: la necessità di ridurre, progressivamente ma senza passi indietro, il deficit strutturale rispetto al Pil, per portarlo a zero, come garanzia di riduzione del debito pubblico accumulato per tutti i paesi dell’Eurozona. Con la sua manovra, invece, il governo italiano scommette su misure dal sapore keynesiano: la spesa in deficit (restando comunque ben sotto la soglia di Maastricht del 3%) per sostenere la domanda, ridurre le tasse sulle imprese e finanziare gli investimenti pubblici, in modo da spingere la crescita.

E arrivare alla riduzione del debito non continuando a tagliare il deficit, come prevede l’ortodossia tedesca del Patto di Stabilità, ma attraverso l’aumento del denominatore nel rapporto debito/Pil. Parlando della manovra, Di Maio ha menzionato nei giorni scorsi i cosiddetti “moltiplicatori” macroeconomici. Nel 2013, Olivier Blanchard e Daniel Leigh pubblicarono un saggio che suscitò enorme clamore, “Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers”, in cui si dimostrava che le politiche di consolidamento di bilancio imposte dall’Eurogruppo (e dall’Fmi) ai paesi Ue che più avevano sofferto della crisi finanziaria nei due anni precedenti, avevano sottovalutato gravemente gli effetti prociclici dei tagli alla spesa pubblica, e avevano finito con l’approfondire e prolungare la crisi stessa.

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Blanchard era capo economista dell’Fmi, e quel saggio venne letto come una dura autocritica alle politiche d’austerità. Dopo quella lezione, ci si sarebbe potuti attendere una presa d’atto degli errori commessi dalla Commissione europea e dall’Eurogruppo e un cambiamento delle regole dell’Eurozona. Ma le regole sono rimaste sostanzialmente le stesse, a parte l’introduzione di una maggiore flessibilità da parte della Commissione Juncker nel gennaio 2015, di cui l’Italia ha beneficiato più di qualunque altro paese. Ora è proprio l’Italia, la terza economia dell’Eurozona, con il suo governo “populista”, che prova a portare nell’agenda dell’Eurogruppo la ridiscussione di quelle regole, partendo dall’esigenza nazionale di una manovra fortemente espansiva, per far ripartire davvero la crescita, ridurre il disagio sociale, e per chiudere definitivamente l’epoca infelice dell’austerità. askanews

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