Massimo di Palermo, dopo sette anni arriva la Norma

14 giugno 2014

Torna in scena al Teatro Massimo di Palermo, dopo sette anni, Norma, capolavoro teatrale di Vincenzo Bellini: debutto fissato per il 17 giugno alle ore 20,30 (repliche sino al 25 giugno) con un particolare allestimento in prima italiana che arriva dall’Opera di Stoccarda, scelto dalla più importante rivista tedesca di settore “Opernwelt” come “Spettacolo dell’anno” nel 2002. La regia è di Jossi Wieler e Sergio Morabito, artisti molto celebri nei teatri di tutta Europa, rispettivamente Sovrintendente e direttore artistico dell’Opera di Stoccarda, che hanno ambientato la vicenda di Norma durante gli anni della Resistenza, in una chiesa abbandonata dove si ritrova un gruppo di partigiani dei quali Norma e Oroveso sono i capi. Lo spunto storico non inficia la struttura drammaturgica originale, anzi le dona un colorito particolarmente intenso e coerente: un paese occupato, la Francia durante l’occupazione nazista come la Gallia invasa dai romani, una protagonista femminile che cerca di riaffermare le ragioni della pace contro il militarismo maschile ma fallisce. Le scene e i costumi sono di Anna Viebrock; le luci di Mario Fleck. Sul podio dell’Orchestra del Massimo Will Humburg; il Coro del Massimo è diretto da Piero Monti.

Nel ruolo della protagonista debutta il soprano ungherese Csilla Boross – per la prima volta a Palermo, mentre il tenore Aquiles Machado – già noto e apprezzato dal pubblico del Massimo – sarà Pollione. Marco Spotti sarà invece Oroveso e Annalisa Stroppa Adalgisa. Nelle recite del 18 e 21 giugno gli interpreti saranno rispettivamente Katia Pellegrino, Ruben Pellizzari, Dario Russo ed Eufemia Tufano. Completano il cast nel ruolo di Clotilde, Patrizia Pellegrino e Carmen Ghegghi, e in quello di Flavio, Francesco Perrino. Insieme ad Anna Viebrock, fra i più influenti scenografi delle scene di prosa e liriche europee, Wieler e Morabito hanno ideato un ambiente il cui “realismo magico” fonde i diversi livelli narrativi e drammaturgici dell’opera. L’ambientazione in una navata squallida, vista da una parte dell’abside e della contigua sagrestia, rimanda agli anni Quaranta del secolo scorso e rispecchia – come anche i costumi – tempi di guerra in un paese occupato. Questa scena dà luogo alla “guerra” fra le due “fazioni” che dividono la comunità gallica, impersonate dalla lunare dea madre e dal dio della guerra Irminsul.

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I registi interpretano la maternità di Norma non come infrazione alla sua fede ma al contrario come manifestazione della sua potenza matriarcale e del suo messaggio di pace e procreazione. La “castità” della “Diva” si riferisce alla castità del matrimonio (e non alla castità virginale imposta storicamente molto più tardi dal patriarcato) così come il rito del vischio è un rito di fecondità. I registi lasciano crescere la pianta parassita dall’idolo della guerra, la mummia di Irminsul, che serve da altare, mentre l’abito cerimoniale di Norma, la “papessa gallica” (Michele Scherillo) cita la casula del prete cattolico. L’opera racconta la successiva degradazione della sacerdotessa e profetessa della Dea madre, costretta a proferire il dettato di guerra della deità patriarca vincente ma senza arrendersi: tramite la salvezza dei due figli, Norma continua a sovvertire e a sfidare l’ordine patriarcale fin dopo la propria morte. L’analisi di questo conflitto è al centro della rilettura dell’opera e ha portato i registi a rispecchiarlo negli atteggiamenti opposti del coro delle donne e del coro degli uomini che si contendono il dominio dello spazio sacrale. Al centro della messa in scena sta – come in ogni spettacolo firmato da Wieler e Morabito – un puntiglioso lavoro con i cantanti, destinato a far agire i loro caratteri con la massima sincerità e credibilità.

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