Maxi tangente Eni in Nigeria, vertici del gruppo avallarono illeciti

Maxi tangente Eni in Nigeria, vertici del gruppo avallarono illeciti
L'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi
17 dicembre 2018

Milano, 17 dic. (askanews) – La procedura che nel 2011 portò l’Eni a staccare un assegno da 1,3 miliardi di dollari per ottenere dal governo nigeriano la licenza per l’esplorazione e lo sfruttamento del giacimento petrolifero Opl-245 fu “costellata dall’inizio e per tutta la sua durata da un’impressionante sequenza di anomalie, che per quantità e qualità dei manager coinvolti necessariamente devono essere state avallate dai vertici della società” e che “non trovano alcuna giustificazione se non negli illeciti accordi spartitori sottostanti”.

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Lo sottolinea il gup di Milano, Giusy Barbara, nelle motivazioni della sentenza che il 20 settembre scorso portò alle prime due condanne per corruzione internazionale nel procedimento sulla presunta maxi tangente versata da Eni e Shell a una cerchia di politici nigeriani: 4 anni di carcere ciascuno (al netto dello sconto di un terzo della pena per la scelta del rito) per l’italiano Gianluca di Nardo e il nigeriano Emeka Obi, indicati dai pm milanesi come alcuni dei presunti intermediari della tangente. L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, il suo predecessore Paolo Scaroni e altri 11 imputati hanno invece scelto il rito ordinario e sono sotto processo davanti ai giudici della Settima Sezione Penale del Tribunale di Milano.

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