Israeliani e palestinesi attendono piano di pace di Trump

Israeliani e palestinesi attendono piano di pace di Trump
Il presidente Usa (L), Donald Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu
9 novembre 2017

Israeliani e palestinesi attendono il piano di pace che il presidente statunitense, Donald Trump, dovrebbe presentare all’inizio del prossimo anno. Un piano di cui ancora non si sa nulla, nemmeno se si baserà sulla creazione di uno Stato palestinese, concetto su cui si fonda la politica di Washington in Medio Oriente da 20 anni. Il ‘peace team’ statunitense è relativamente piccolo e discreto: comprende cinque persone, tra cui il genero del presidente, Jared Kushner, e l’inviato speciale Jason Greenblatt. Trump è personalmente coinvolto nel lavoro e fa pressioni per avere al più presto un piano, secondo il giornalista israeliano Barak Ravid, che ha scritto un articolo sul tema per il sito Axios. Negli ultimi nove mesi, Trump ha incontrato separatamente il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente palestinese, Abu Mazen, in tre occasioni ciascuno, per discutere del piano di pace. Il suo inviato, Greenblatt, gira costantemente tra Gerusalemme, Ramallah e le capitali arabe e il suo ultimo viaggio nella regione è durato tre settimane; Kushner, che ufficialmente guida il ‘peace team’, è andato in Medio Oriente in tre occasioni, trascorrendo ogni volta ore e ore al telefono con i leader arabi per ottenere il loro appoggio, ha scritto Ravid. Il piccolo e compatto team evita fughe di notizie e scandali, errori e imbarazzi. Gli altri componenti del gruppo sono la viceconsigliera per la Sicurezza nazionale, Dina Powell, l’ambasciatore statunitense in Israele, David Friedman, e il console generale di Gerusalemme, Don Blome. Netanyahu, la scorsa settimana, ha detto alla prima ministra del Regno Unito, Theresa May, di essere in modalità “aspettiamo e vediamo” e di attendere una proposta tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo, secondo fonti israeliane e britanniche di Ravid.

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“Non so che piano stia per presentare Trump e non sono sicuro che qualcuno lo conosca, ma sono felice – avrebbe detto – che lo staff di Trump stia portando idee nuove e fuori dagli schemi sulla questione”. Abu Mazen avrebbe detto a un gruppo di ex membri della Knesset, il parlamento monocamerale israeliano, di aspettarsi un piano entro la fine dell’anno e che Trump gli ha assicurato di sostenere la soluzione a due Stati; inoltre, il presidente statunitense gli avrebbe detto che presto sosterrà pubblicamente questa posizione. Un funzionario della Casa Bianca ha detto che non c’è una data limite per la presentazione del piano e che l’obiettivo è di “facilitare un accordo che funzioni per israeliani e palestinesi, non imporre qualcosa a qualcuno”. Trump conta sull’Arabia Saudita per ottenere l’approvazione di israeliani e palestinesi alla sua iniziativa. Kushner punta sui suoi stretti rapporti con il principe Mohamed bin Salman per convincerlo ad avere un ruolo maggiore, e mai avuto prima, nel processo di pace. L’incontro tra i due, avvenuto un paio di settimane fa, era incentrato soprattutto su questa questione. All’inizio di questa settimana, invece, Abu Mazen è stato a Riad per parlare del processo di pace con alcuni leader sauditi. Il vicepresidente statunitense, Mike Pence, sarà in Medio Oriente a metà dicembre e incontrerà Netanyahu e Abu Mazen, chiedendo probabilmente a entrambi di tornare al tavolo delle trattative. La situazione politica di Netanyahu potrebbe essere destabilizzata da un piano di pace che includa concessioni israeliane su temi molto sentiti, come i confini, gli insediamenti in Cisgiordania e il futuro di Gerusalemme. Le indagini in corso su Netanyahu, accusato di corruzione, rendono la situazione più complicata. Abu Mazen, invece, è impegnato nel piano di riconciliazione con Hamas: uno sforzo condotto dall’Egitto, con il sostegno tacito della Casa Bianca, che prevede il graduale trasferimento del controllo della Striscia di Gaza all’autorità palestinese. Il collasso di questo accordo potrebbe avere serie conseguenze su qualsiasi spinta per un processo di pace con Israele, secondo Ravid.

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