A sei mesi dall’uscita dall’Ue, Londra è in un vicolo cieco. La May nel mirino, il suo piano non convince

A sei mesi dall’uscita dall’Ue, Londra è in un vicolo cieco. La May nel mirino, il suo piano non convince
La premier britannica Theresa May
30 settembre 2018

Mancano solo sei mesi all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, il 29 marzo prossimo, eppure il processo della Brexit e’ in alto mare, il Paese e’ sempre piu’ diviso e Londra e’ in un cicolo cieco. Il cosiddetto Chequers Plan, per una Brexit soft, redatto dalla premier conservatrice Theresa May non convince affatto in patria e viene guardato da Bruxelles con scetticismo. La May deve fare i conti con la rivolta dei Brexiters del suo partito Tory.

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Proprio Boris Johnson ha accusato la premier di “una performance quasi invertebrata”, presentando la sua ricetta alternativa: un accordo di libero scambio in stile Super-Canada, che renderebbe la Gran Bretagna “ricca, forte e libera”. Inoltre, l’ex capo di Downing Street ha invitato a guardarsi bene dal consegnare 40 miliardi di sterline a Bruxelles senza prima essere arrivati ad un accordo di questo tipo. Dure critiche sono arrivate anche dal ‘Telegraph’, che ha bollato il piano della May come “errore intellettuale, umiliazione morale ed intellettuale” che ingannerebbe il Paese “se attuato”. Il quotidiano piu’ conservatore del Regno Unito ritiene “incredibile che dopo due anni questa sia l’offerta iniziale del governo, un fallimento collettivo, un disastro democratico”.

Nel contempo, di fronte al rischio di un “no deal”, si e’ ampliato il fronte di quanti – tra deputati, sindacati ed esponenti del mondo del business – chiedono con insistenza un “voto popolare” su qualsiasi accordo con l’Ue oppure sul mancato accordo, offrendo in alternativa l’opzione di restare nell’Unione. Uno scenario gia’ escluso dalla May, in quanto rischierebbe di sfaldare il partito Tory, gia’ messo in crisi dalla Brexit. A questo punto per la premier l’unico voto possibile rimane quello del Parlamento, che dovra’ ratificare o meno l’accordo finale. In un contesto di profonda incertezza, tornano alla ribalta con nuovo slancio anche i cosiddetti “remainers”, che vogliono un secondo referendum gia’ dal giorno successivo all’esito della consultazione del 23 giugno 2016 per annullare la Brexit.

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A rilanciare l’idea, la scorsa settimana, e’ stato uno degli esponenti di spicco del partito Labour, il sindaco di Londra di origine pakistana, Sadiq Khan, che ha proposto di organizzarlo prima del 29 marzo 2019. Gli esponenti di questo fronte accusano il governo di “giocare d’azzardo smaccatamente con l’economia britannica e la vita della gente”, avvertendo che in cosi’ poco tempo per portare a termine i negoziati con Bruxelles si rischia “un cattivo accordo per il Regno Unito o nessun accordo”, due prospettive “estremamente rischiose”. La richiesta di un secondo referendum popolare sta guadagnando terreno anche nei circoli Tory, con il deputato conservatore George Freeman, ex presidente del policy board di May, che prevede pressioni “schiaccianti” in caso di mancato accordo con l’Ue.

Anche il governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, ha avvertito che l’impatto di una Brexit senza accordo con Bruxelles potrebbe essere catastrofico almeno quanto la crisi finanziaria del 2008. L’ipotesi di un secondo referendum per approvare l’esito finale dei negoziati con l’Ue e’ guardata con scetticismo anche da Bruxelles, che vede in questa possibilita’ un ulteriore elemento di incertezza in trattative gia’ difficili. Cosi’ l’Unione europea e’ orientata a sostenere May, con l’obiettivo di tentare di arrivare a un’intesa sull’accordo Brexit e la dichiarazione politica sulle relazioni future entro novembre. Anche se l’Ue e’ impegnata a negoziare l’accordo Brexit, dai vertici delle istituzioni europee e’ arrivata un’apertura allo scenario di marcia indietro sull’uscita dalla Gran Bretagna.

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Nei mesi scorsi il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha assicurato che “sul continente europeo, i nostri cuori sono sempre aperti” alla possibilita’ che il Regno Unito cambi idea sulla Brexit. Anche il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha detto che “la porta resta aperta”. A questo punto un altro nodo ancora da sciogliere riguarda la modalita’ tecnica e giuridica per revocare eventualmente la Brexit. Secondo alcuni esperti per fare marcia indietro al Regno Unito basterebbe ritirare l’articolo 50, con cui ha attivato il processo di uscita dall’Ue. Per altri, invece, sarebbe necessaria una decisione unanime dei 27 per bloccare la Brexit prima del 29 marzo. Juncker ha anche evocato l’idea di una nuova adesione del Regno Unito.

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