Modella rapita, colpo di scena al processo: tutto finto, voleva notorietà

Modella rapita, colpo di scena al processo: tutto finto, voleva notorietà
La modella inglese, Chloe Alying
21 febbraio 2018

Nessun sequestro, ma una montatura architettata ad hoc per dare “notorità” alla modella inglese Chloe Alying che così facendo “voleva diventare famosa”. E’ la nuova versione fornita da Lukasz Pawel Herba, il 30enne polacco residente a Birmingham, in Gran Bretagna, accusato del sequestro della 20enne, nel corso dell’interrogatorio reso nell’aula del processo milanese sul rapimento della modella. In pratica l’uomo, imputato per sequestro di persone, ha ritrattato la maggior parte delle dichiarazioni fornite in fase di indagini agli inquirenti coordinati dal pm della Dda di Milano Paolo Storari. “Oggi – sono state le sue parole – dico la verità. Ho detto a Chloe ‘facciamo un finto sequestro’ così tu diventi famosa. Non volevamo soldi, solo popolarità”. L’uomo, arrestato il 17 luglio scorso, nelle sue prime rivelazioni agli inquirenti aveva infatti tirato in ballo un gruppo di romeni che, secondo quanto fatto mettere a verbale, avrebbero avuto un ruolo operativo nel sequestro. “Tutto quello che ho detto nei primi interrogatori, non è vero”, ha chiarito oggi in aula. “Io e Chloe – ha puntualizzato – eravamo d’accordo”. La ragazza raccontò di essere stata attirata in Italia con la scusa di un servizio fotografico. L’11 luglio, sempre stando alla sua versione dei fatti, fu rapita e tenuta in ostaggio per 6 giorni in un casolare del Torinese. Da qui il suo carceriere inviò una mail al manager della modella, spacciandosi come killer dell’organizzazione criminale internazionale “Black Death Group” e chiedendo il pagamento di un riscatto di 300 mila sterline. In caso contrario Chloe sarebbe stata venduta in un’asta on-line destinata ai paesi arabi. “Ricordo bene quella mail, l’ho scritta insieme a Chloe”, ha assicurato l’uomo in aula. Quanto al Black Death Group, “non esiste, è stato inventato perché volevamo attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’esistenza di organizzazioni di questo genere”.

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Secondo l’uomo accusato di averla rapita, Chloe si sarebbe insomma inventata tutto. Compresi i dettagli sul viaggio compiuto da Milano alla baita piemontese. Lei raccontò di essere stata rinchiusa in un borsone, ma secondo il suo presunto sequestratore “in una prima fase era seduta dietro. Poi si spostò accanto a me, sul sedile passeggero. E abbiamo chiacchierato tutto il viaggio”. La storia del borsone fu dunque una montatura, come tutto il resto: “Entrò nel borsone quando eravamo già in montagna, e soltanto per lasciare tracce biologiche”. Il medico legale che la visitò dopo la liberazione notò che la ragazza mostrava lividi su caviglie e polsi lividi. Dimostrazione, secondo l’accusa, che durante la prigionia venne tenuta ammanettata a mani e piedi, così come denunciato dalla stessa vittima. “Le manette se le è messe lei da sola”, si è giustificato il presunto sequestratore. Chole raccontò anche di essere stata drogata con ketamina, particolare che emerge da una fotografia allegata alla prima mail di richiesta del riscatto, dove la si vede mezza nuda con le pupille dilatate. “No, non ha mai ingerito nessuna sostanza stupefacente. Abbiamo fatto tante foto. Lei posava”. Alla prima richiesta di riscatto ne seguì una seconda, questa volta da 50 mila sterile. “Quando eravamo nella baita in Piemonte – ha raccontato Lucasz – io e Chloe abbiamo fatto i conti per capire quanti soldi avremmo potuto guadagnare. Soldi che poi avremmo dovuto dividere. Ricordo che Chloe mi disse: ‘tu chiedi i soldi, poi se tutto va bene potremmo anche cominciare a uscire insieme’. Mi propose di iniziare a frequentarci se fosse andato tutto come previsto”. Come mai, dunque, la modella si è inventata tutta questa storia? “Speravo che si comportasse come eravamo d’accordo. Invece ha indicato alla polizia come autore del sequestro una persona che non c’entra nulla”.

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