Il monito dell’Ocse: integrazione dei migranti sfida maggiore di accoglienza

Il monito dell’Ocse: integrazione dei migranti sfida maggiore di accoglienza
11 gennaio 2019

L’integrazione dei rifugiati e’ una sfida ancora maggiore dell’accoglienza iniziale e nessun Paese puo’ farvi fronte da solo. Lo sottolinea l’Ocse nel rapporto ‘Ready to Help? Improving Resilience of Integration Systems and other Vulnerable Migrants’, in cui fornisce una serie di raccomandazioni ai Paesi industrializzati, sempre piu’ in difficolta’ nel fare fronte all’arrivo e all’integrazione dei migranti e in particolare a trovare soluzioni congiunte, come dimostra la cronaca ormai quotidiana. L’aumento dei flussi migratori nell’area Ocse e’ stato netto negli ultimi cinque anni, in particolare a causa della guerra in Siria, ma anche per i conflitti e le crisi umanitarie in altri Paesi, come l’Afghanistan, l’Iraq, il Sudan e il Centro America.

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La popolazione dei rifugiati approdati nei Paesi industrializzati e’ passata dai 2 milioni di meta’ 2013 agli attuali 6 milioni circa, con un impatto, per altro, molto concentrato in termini geografici e demografici. L’Europa tra gennaio 2014 e dicembre 2017 ha ricevuto 4 milioni di richieste di asilo, il triplo rispetto ai precedenti quattro anni. Si tratta, comunque, solo di una frazione relativamente contenuta rispetto ai 28,5 milioni di persone che nel mondo hanno dovuto lasciare il loro Paese d’origine in circostanze avverse e il loro impatto, sempre in termini relativi, e’ contenuto. L’Ocse stima che i migranti recenti aumenteranno la popolazione dei Paesi europei in eta’ lavorativa in media dello 0,3% entro la fine del 2020.

In alcuni Paesi l’effetto del flusso dei migranti sara’, pero’, piu’ evidente. In Austria, Grecia e Svezia, i rifugiati recenti aumenteranno la forza lavoro dello 0,5% e in Germania dello 0,8%. In Turchia, i rifugiati siriani rappresentano gia’ il 3% circa della popolazione in eta’ lavorativa. In generale, tuttavia, i migranti recenti avranno maggiori difficolta’ rispetto ad altri gruppi di immigrati ad integrarsi nel mercato del lavoro, a causa dei bassi livello di istruzione che caratterizza oltre la meta’ dei rifugiati (ma anche i laureati fanno fatica a far riconoscere le loro competenze) e di una lenta transizione all’occupazione.

Nei primi cinque anni dall’arrivo in Europa, solo un migrante su cinque e’ occupato e, sulla base dell’esperienza passata, servano circa 20 anni ai migranti per arrivare ai livelli occupazionali dei nativi. In ogni caso, il costo dell’integrazione, che varia a seconda dei Paesi Ocse tra lo 0,1% e l’1% del Pil, ‘dovrebbe essere visto come un investimento nel loro successo e nel contributo che in futuro potranno dare al Paese che li ospita’. L’integrazione dei rifugiati e dei migranti nel mercato del lavoro, nel sistema di istruzione e nella societa’ e’ ‘cruciale’, sottolinea lo studio.

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Migliorando la possibilita’ di accedere al lavoro, i Paesi possono contribuire a realizzare appieno il potenziale economico dei migranti e generare un impatto economico positivo. Questo, inoltre, migliora l’accettazione e l’inclusione sociale dei migranti nelle comunita’ locali. Se non si riesce ad integrare i rifugiati e gli altri migranti vulnerabili, ‘non solo si aumentano l’esclusione e le tensioni sociali”, ma si rendono anche piu’ difficili le politiche da adottare a fronte dei futuri flussi migratori, visto che – ammonisce l’Ocse – e’ improbabile che ci siano meno rischi di altri forti flussi migratori in futuro.

Nelle grandi linee, la principale raccomandazione dell’Ocse e’, appunto, quella di una maggiore collaborazione internazionale, visto l’attuale assenza di meccanismi concordati per l’aiuto reciproco e considerando che i Paesi sono stati colti alla sprovvista dalla recente crisi di rifugiati in assenza anche di una struttura efficace per condividere ed utilizzare le informazioni che intercettino anche i segnali iniziali sugli arrivi di richiedenti asilo. Essenziale anche il coordinamento con gli attori umanitari che operano nei Paesi in via di sviluppo che ospitano rifugiati, visto che l’85% dei rifugiati mondiali si trova nei Pvs. Vanno poi rafforzati gli sforzi per aiutare i rifugiati e i migranti vulnerabili a trovare un lavoro e a mantenerlo.

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Questo implica migliorare la trasparenza e semplificare i dispositivi di accesso al mercato del lavoro, dare un sostegno all’occupazione e all’apprendimento della lingua e riconoscere le competenze. L’Ocse consiglia anche di lavorare in stretta collaborazione con tutti gli ‘stakeholders’ coinvolti nell’integrazione dei migranti, inclusa la societa’ civile, il settore privato, i partner sociali e gli enti locali e sottolinea il ruolo centrale dei datori di lavoro. Lo studio insiste sulla necessita’ di adottare una chiara strategia di integrazione di lungo termine, che preveda anche un dispositivo per il ritorno nei Paesi di origine quando necessario. Non deve mancare, infine, un piano di crisi per identificare partner, canali di comunicazione e responsabilita’ per fare fronte a forti flussi di persone alla ricerca di protezione.

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