Morte Cucchi, Pm: giocata una partita truccata

Morte Cucchi, Pm: giocata una partita truccata
Ilaria Cucchi
27 febbraio 2019

È “stata giocata una partita truccata sulle spalle di una famiglia e ora è in gioco la credibilità di un sistema. Pensiamo finalmente di essere riusciti a capirete cosa accadde nel 2009 sulla vicenda Cucchi, documenti di straordinaria importanza, che per la prima volta fanno luce su quanto avvenne”. Così ha detto il pm Giovanni Musarò in apertura della nuova udienza sul caso del giovane geometra morto dopo una settimana dall’arresto nell’ottobre 2009. Il magistrato ha annunciato un nuovo deposito di atti definiti di “straordinaria importanza” in merito al caso. Nel processo bis Per la morte di Cucchi sono imputati 5 carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. Sulla vicenda sono poi emersi una serie di depistaggi per cui ora sono indagati per falso una decina di carabinieri.

Secondo quanto spiegato in aula dal pm Musarò nei nuovi atti depositati ci sono le prove dei “falsi e delle omissioni” dell’allora Comando Provinciale dei Carabinieri di Roma che hanno tratto in inganno anche l’allora ex ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che il 3 novembre 2009 in aula al Senato accusa implicitamente gli uomini della polizia Penitenziaria. A parere del pubblico ministero il “depistaggio” sul caso Cucchi parte “subito dopo un ‘lancio’ dell’Ansa del 26 ottobre 2009 in cui il parlamentare Luigi Manconi denunciava che i genitori del ragazzo lo avevano visto dopo l’arresto senza segni in viso mentre il giorno dopo era tumefatto. “Da quel momento da parte dei Carabinieri partono una serie di annotazioni falsificate e Alfano riferendo in Senato, sulla base di atti falsi, dichiarò il falso in aula, lanciando accuse alla polizia penitenziaria, quando ancora in Procura non c’era nulla contro la penitenziaria. Fino a quel giorno – ha ricordato ancóra Musarò – il fascicolo era a carico di ignoti e solo dopo le parole di Alfano partirà l’indagine sui poliziotti”.

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Intorno alla fine dell’ottobre del 2009 e l’inizio del novembre 2009 in documenti ufficiali interni all’Arma dei carabinieri compaiono già le conclusioni cui sarebbero pervenuti i medici legali nominati dalla procura di Roma sei mesi dopo”. La circostanza è stata definitita “inquientante” dal pm Giovanni Musarò davanti alla corte d’assise. “Già in quegli atti – ha ricordato il magistrato – si diceva che non c’era un nesso di causalità tra le botte e la morte di Cucchi, che una delle fratture era risalente nel tempo e che i responsabili del decesso erano solo i medici. Tutto ciò era stato scritto non solo quando i consulenti erano ben lontani dal concludere il loro lavoro ma quando la procura doveva ancora nominarli. Ciò lascia sconcertati”. Musarò ha poi ricordato che sulle annotazioni di Cucchi si susseguirono “circostanze false che ritroveremo anni dopo nelle relazioni peritali del gip e della prima corte d’assise”. Prossima udienza, l’8 marzo; saliranno sul banco dei testimoni anche altri ufficiali dell’Arma, alcuni dei quali indagati nella terza tranche dell’inchiesta.

ILARIA CUCCHI 

“Ascoltare in un’aula di giustizia che c’erano i superiori dei Carabinieri coinvolti, in questo nuovo processo per la morte di mio fratello, che gia’ sapevano tutto dal principio e hanno deciso tutto a tavolino, lo dico come sorella di Stefano e come cittadina, fa veramente venire un enorme sconforto – ha detto Ilaria Cucchi, al termine dell’udienza in Corte d’Assise -. Spesso si discute, si parla e si critica il fatto che la famiglia Cucchi ha preso un grande risarcimento. Quei soldi sono andati tutti in spese in questi ormai quasi 10 anni, buttati, grazie a persone che sapevano tutto e che si sono nascoste. La nostra vita e’ devastata, ci abbiamo rimesso in soldi, in salute, nella nostra normalita’”.

L’AGENTE PENITENZIARIA

“Da persona innocente, mi sono trovato in una rete senza uscita ordita nei nostri confronti. Eravamo tre pecore che erano state mandate al patibolo. Il disagio maggiore e’ sapere che mia madre e’ morta senza avere consapevolezza piena che suo figlio era innocente”. E’ stato un fiume in piena Nicola Minichini, l’agente della penitenziaria processato e assolto in maniera definitiva per la morte di Stefano Cucchi, sentito oggi in aula nel processo ai cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintezionale. Oggi, in aula, ha ricostruito tutti i ‘passaggi’ della vicenda che l’ha visto protagonista: da quando vide Cucchi la prima volta, portato nelle celle del tribunale dopo l’udienza di convalida, e proseguendo poi con la chiamata del medico del tribunale (quando Cucchi stava male e chiedeva un antidolorifico “perche’ aveva dolore alla testa” e al medico disse di essere caduto dalle scale) e la successiva consegna per il trasferimento in carcere.

“Cucchi, quando arrivo’ giu’ – ha detto Minichini – camminava a fatica, tant’e’ che si sedette su un fianco. Si vedeva che aveva problemi. Aveva dei segni sul volto, dei lividi”. Poi i dieci anni passati con un processo che lo ha visto assolto in maniera definitiva. “Da quel giorno la mia vita e quella della mia famiglia e’ cambiata per sempre. Sono sprofondato nell’inferno piu’ totale. Al tempo non riuscivo neanche a rientrare a casa, c’erano giornalisti dappertutto. Sono stato abbandonato da tutti”, ha detto. Dopo l’assoluzione in Assise “fummo costretti a uscire scortati dal tribunale, stessa cosa col processo d’appello”. Alla fine, resta il ringraziamento al pm Musaro’ “perche’ adesso mi sta restituendo la dignita’ ma il veleno che ho dentro e’ tanto”.

EX COMANDANTE REPARTO OPERATIVO

Tra le carte depositate oggi dalla Procura di Roma, nell’ambito del processo bis a carico di cinque carabinieri per la morte di Stefano Cucchi, c’e’ anche il verbale di interrogatorio di Lorenzo Sabatino, indagato per favoreggiamento, e all’epoca dei fatti comandante del reparto operativo di via In Selci. “Mi chiedete – fa mettere a verbale – per quale ragione nella nota del 14 novembre del 2015 indicammo le annotazioni sullo stato di salute di Cucchi a firma Colicchio e Di Sano fra gli allegati senza precisare che avevano contenuto diverso. In quel periodo io ero molto impegnato e mi limitai a fare un controllo sommario, fidandomi del capitano Testarmata (altro ufficiale indagato ndr), nel senso che pensai avesse evidenziato la circostanza nell’annotazione a sua firma. Intendo aggiungere che, per quello che e’ il mio ricordo, che il 17 novembre del 2015 ci recammo in Procura per consegnare la documentazione acquisita, io e il generale Luongo dicemmo che c’erano due annotazioni con la stessa data, ma diverse, ma evidentemente non ci spiegammo bene. Non parlammo di falso perche’ a me nessuno aveva parlato di falso”, conclude Sabatino.

EX COMANDANTE DELL’ARMA

“Per me quello di Cucchi era un arresto normale”. Così ha detto il generale dei carabinieri, Vittorio Tomasone, già comandante provinciale di Roma dell’Arma, durante la sua testimonianza nel processo bis per la morte di Stefano Cucchi. “Appresi le prime informazioni, per quel che ricordo, con la lettura di agenzie di stampa. Poi con le domande di alcuni giornalisti che mi chiamarono. Ai miei collaboratori chiesi se era vero che era stato arrestato dai Carabinieri e mi fu detto che era stato arrestato una settimana a prima. A quel punto chiesi altre informazioni e mi dissero che, a parte l’attivazione del 118, non c’erano stati problemi. Insomma c’era stata un’udienza di convalida dell’arresto e la consegna alla penitenziaria. Chiesi al comandante del gruppo e agli altri comandanti di preparare una relazione servizio da parte di tutti quelli che avevano avuto un contatto fisico con Cucchi, dall’arresto sino alla consegna alla polizia penitenziaria”.

Insomma “in uno degli ultimi giorni di ottobre, chiamai la signora Cucchi per esprimerle la mia vicinanza personale sulla scorta di quello che mi era stato riferito e degli accertamenti possibili fatti”. Sempre a fine ottobre del 2009 Tomasone convocò una riunione: “A tutti i presenti avevo chiesto di venire da me al Comando provinciale e, oltre a portare la relazione, di dire quello che avevano fatto. All’esito di questi ulteriori accertamenti, se ne deduceva il convincimento che non vi potevano essere responsabilità. Il motivo di fare venire i militari con la relazione non scritta non era non solo cogliere il focus del loro racconto ma anche, attraverso l’espressione del viso per capire se qualcuno stava correggendo qualcun altro nella ricostruzione dei fatti, il riscontro a quello che avevano scritto”.

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Tomasone ha spiegato che un carabiniere gli disse “‘io lo avevo in custodia, lamentava dei dolori e ho chiamato il 118’, ricordo di avere espresso parole di apprezzamento e dopo che uno dei militari mi disse che aveva attivato la centrale operativa, affinché potesse inviare un autoradio presso la stazione dove di notte Cucchi era in camera sicurezza, perché lo aiutasse nell’operazione di metterlo sull’ambulanza, feci subito prendere dalla centrale operativa il nastro di quella telefonata di 7/10 giorni prima prima e non notai, nella conversazione tra il carabiniere di servizio la notte e l’operatore della centrale, assolutamente nulla”. Perciò, sempre secondo Tomasone, “tutto questo portava ad escludere qualsiasi coinvolgimento” dei carabinieri. Tomasone in una seconda riunione convocata nel mese di novembre del 2009: “C’era stata una serie di segnalazioni da parte delle quattro Procure della provincia di Roma, che segnalavano disservizi sulla trasmissione degli atti”.

La riunione era stata “convocata principalmente per fare un punto della situazione, si parlò di problemi che erano accaduti qualche giorno prima della morte di Cucchi, cioè l’arresto di alcuni carabinieri per un’estorsione ai danni del presidente della Regione e un altro motivo per cui venne convocata la riunione era l’attività preventiva, che chiedevo più che quella repressiva nelle strade. Il riferimento alla morte di Stefano Cucchi, che nel tempo era rimasto costante, non era ‘guardate cosa è accaduto’ ma ‘le cose vanno fatte in un certo modo perché da una parte si finisce arrestati e da una parte si entra nell’occhio del ciclone della stampa per questi motivi'”.

Il generale ha ricostruito anche quanto avvenuto in una seconda riunione convocata nel mese di novembre del 2009: “C’era stata una serie di segnalazioni da parte delle quattro Procure della provincia di Roma, che segnalavano disservizi sulla trasmissione degli atti. La riunione era stata convocata principalmente per fare un punto della situazione, si parlò di problemi che erano accaduti qualche giorno prima della morte di Cucchi, cioè l’arresto di alcuni carabinieri per un’estorsione ai danni del presidente della Regione e un altro motivo per cui venne convocata la riunione era l’attività preventiva, che chiedevo più che quella repressiva nelle strade. Il riferimento alla morte di Stefano Cucchi, che nel tempo era rimasto costante, non era ‘guardate cosa è accaduto’ ma ‘le cose vanno fatte in un certo modo perché da una parte si finisce arrestati e da una parte si entra nell’occhio del ciclone della stampa per questi motivi'”.

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Tomasone ha poi ripetuto di non essersi mai interessato dell’aspetto medico-legale della morte di Stefano Cucchi, ma su questo è stato mess in dubbio dal pm Musarò, che gli ha sottoposto un atto a firma proprio del generale, nel quale di fatto venivano anticipate conclusioni sull’autopsia che la Procura di Roma all’epoca ancora non conosceva. Alla domanda del pubblico ministero su come avesse potuto avere accesso a quelle informazioni e arrivare a quelle sulle conclusioni, Tomasone ha ‘rimesso’ il tutto alla figura del colonnello Alessandro Casarsa, suo sottoposto nel periodo in esame, aggiungendo di non sapere se lo stesso allora comandante del gruppo Roma avesse avuto contatti diretti con il consulente tecnico.

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