Morte Regeni, dopo un anno non c’è traccia di verità. Al setaccio immagini in stazione

Morte Regeni, dopo un anno non c’è traccia di verità. Al setaccio immagini in stazione
Giulio Regeni
23 gennaio 2017

La procura egiziana ha autorizzato l’Italia ad inviare degli esperti per cercare di recuperare delle immagini di videosorveglianza che potrebbero aiutare a chiarire le cause della morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto. E’ passato quasi un anno dalla scomparsa a Il Cairo di Regeni, il 25 gennaio 2016, ritrovato morto giorni dopo, il 3 febbraio, lungo la strada per Alessandria con evidenti segni di torture e mutilazioni. E dopo un anno ancora si cerca la verità su quanto accaduto al giovane ricercatore friulano. “Il procuratore generale egiziano ha accettato la richiesta da parte italiana di inviare degli esperti” per tentare di recuperare dei dati delle telecamere di sorveglianza per analizzare quella relativa alla stazione della metropolitana nella zona di Dokki, dove Regeni passò prima di sparire il giorno dell’anniversario della caduta di Hosni Mubarak. Gli spezzoni video sarebbero stati soppressi e l’Egitto afferma di non avere i mezzi per procurarsi il programma necessario a recuperarli.

 

IL SINDACALISTA L’agenzia di stampa ufficiale egiziana Mena, ricorda che “in occasione dell’ultimo incontro a Roma, la delegazione della procura egiziana ha consegnato a quella italiana le copie dei documenti richiesti dall’Italia e un Cd contenente la conversazione tra Giulio Regeni e il rappresentante degli ambulanti”, Mohamed Abdallah, registrata da quest’ultimo e consegnata alla polizia per “denunciare” Regeni. Secondo la Mena, però, proprio in base a quella registrazione, “i servizi di sicurezza egiziani decisero di smettere di seguire” il ricercatore, perché dalla conversazione “era emerso che la sua attività non minacciava la sicurezza nazionale egiziana”. A fine dicembre era stato lo stesso Abdallah a dichiarare all’Huffington Post di aver voluto denunciare Regeni: “Sì, l’ho denunciato e l’ho consegnato agli Interni e ogni buon egiziano, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso”. Stando alle notizie arrivate in queste ultime ore dal Cairo, ancora da valutare alla luce di possibili nuovi elementi, la solerzia dell’ambulante avrebbe sortito l’effetto contrario a quello desiderato. Intanto a pochi giorni dall’anniversario della scomparsa del giovane, si moltiplicano gli appelli a raggiungere la verità al più presto. “Ci fermeremo soltanto quando la troveremo, quella vera e non quella di comodo”, ha assicurato recentemente il ministro degli Esteri, Angelino Alfano.

DEPISTAGGI Ci sono stati, e probabilmente non sono finiti, “tanti tentativi di depistaggio” nella ricerca della verita’ per Giulio Regeni, ma la famiglia, va avanti. E lo stesso fanno tanti egiziani che considerano il caso di Giulio un simbolo di quello che accade a molti di loro. Tra questi in prima fila c’e’ Ahmed Abdallah, presidente del consiglio di amministrazione della Commissione egiziana per i diritti e le liberta’ (Ecrf), la ong che sta offrendo consulenza ai legali italiani della famiglia, che il 24 aprile scorso, e’ stato prelevato dalla sua abitazione dalla forze di polizia e portato in carcere. Per 135 giorni e’ stato trattenuto, su “documentazione falsa e minacciato”. A raccontare quei momenti e’ stato Ahmed Abdallah, in persona, secondo il quale, “la nostra ferma volonta’ di cercare la verità per Giulio è più importante di qualsiasi minaccia che riceviamo dal governo. Ero in carcere e non era facile, ma sapevo che stavo facendo la cosa giusta”. “Ci sono tanti tentativi in corso – ammette il consulente – per evitare che troviamo la verità per Giulio”. “Cercare la verità per Giulio è un obbligo e non accetteremo niente che non la completa verità” sottolinea. Di piu’ non si puo’ dire.

LA DIFESA Secondo l’avvocato della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, le “indagini sono delicatissime, coperte dal segreto e ogni parole detta fuori posto creerebbe danni inenarrabili tra le procure, e i due paesi”. “L’unico modo per dire a che punto siamo arrivati è parlare del fango da cui ci siamo liberati, per superare i continui depistaggi – tuona l’avvocato -. Noi non abbasseremo la guardia”. “Hanno cercato di farlo passare per gay, per drogato – aggiunge la Ballerini – poi hanno tentato la versione dell’incidente stradale. E infine hanno detto che erano stati 5 criminali che si travestivano da poliziotti per sequestrare persone a scopo di estorsione. Ma anche questo non ha senso. L’ultima versione e’ quella che un sindacalista avrebbe tradito Giulio, calunniandolo. Dicendo che era una spia a sua insaputa, messa li’ dall’Universita’ di Cambridge per dare informazione ai servizi inglesi. Certo – conclude – sorprende che non ci sia stata alcuna reazione da parte di Cambridge e dell’Inghilterra”.

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